Primo giorno d’esami. La mia è l’ultima classe ad iniziare. Siamo un istituto enorme, e con le nuove regole su questo abominevole “distanziamento “, possiamo solo utilizzare l’aula magna e un paio di laboratori. Quindi i tempi si sono allungati.
Arrivo a scuola presto. Sulla porta, bidelli schierati a testuggine con tanto di guanti e mascherine. Mi bloccano. Devo mettere anch’io la mascherina. Altrimenti… altrimenti che fate? Li interrogate voi su Pirandello e Seneca? Mi guardano. Non capiscono.
“Sono gli ordini professore“… Li guardo con umano compatimento. Non è colpa loro. Metto la mascherina. E loro mi danno un modulo da firmare. Devo dichiarare che non ho né febbre né altri sintomi. Così, tutti i giorni… Spiegano.
“La scuola non ha il termometro“.
E che ne so se ho la febbre. Mica me la misuro tutte le mattine…
È la regola.
Poi mi chiedono il documento di identità.
Scusate, sono dipendente pubblico di ruolo da 38 anni. In questo istituto otto….
È il nuovo regolamento.
Sarà così tutte le mattine.
Entro nell’aula e mi tolgo la mascherina. Siamo solo in due a farlo. I più vecchi, ovviamente. Le colleghe si salutano sfregando gomito contro gomito. Sembra una farsa di Mel Brooks. Che poi, a ben vedere, è quanto di più anti igienico. Di solito le mani te le lavi. I gomiti no. Ma sono le nuove regole patrocinate dai geni che consigliano il Ministro e il Conte Zio…
Cominciamo.
L’allievo si siede al centro della sala. Tre metri di distanza dai docenti. Noi, ad un metro e rotti gli uni dagli altri. Davanti a ciascuno dei presenti un pannello di plexiglas. Quello, più le mascherine, non si sente un cavolo di quanto lo studente va dicendo. Frammenti di frasi. Parole nel vuoto. Lo faccio presente.
Non è importante, mi viene detto. Ciò che conta è il distanziamento. Mantenere le regole di sicurezza…
Vado a prendere una penna, per gli appunti. Prima di darmela, viene letteralmente immersa nell’amuchina. Diventa viscida. Non prenderò appunti. Tanto…
Cominciamo. Per modo di dire. Comunque, la prima è una bravina. Di quelle che studiano. Non brillante. Ma il tipo che in genere piace ai professori. Diligente.
Per quello che riesco a capire (poco) fila tutto liscio. Alla fine Cittadinanza & Costituzione. Domanda obbligatoria. Quasi una comica, considerato quello che è successo in Italia in questi mesi.
Con voce per una volta quasi stentorea, la ragazza enuncia decisa
“Il primo diritto è quello alla salute”
Eh no, la blocco. L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Non sulla salute. E poi tale enunciato significa il diritto di tutti a poter usufruire di cure adeguate. Non il diritto a stare perennemente in salute.
Mi guardano tutti esterrefatti. Sono il Marziano a Roma di Flaiano.
Questa è una tua opinione, dice una collega da dietro la sua variopinta mascherina…
Veramente lo ha detto Sabino Cassese… ma è replica inutile. Il nuovo esperto di diritto costituzionale è Casalino…
Per fortuna quello dopo è un bel coatto. Si è ripulito nel vestiario, camicia bianca, che copre i tatuaggi.
Affabula discorsi senza capo né coda. Parole in libertà. Altro che Marinetti. Del quale, per altro, sa dirmi solo che è nato ad Alessandra. Mi rifiuto di indagare su dove sia collocata tale Alessandra…
Poi, non so come, si infila nella Grande Guerra. Parliamo di Ungaretti…. Soldati.
“Ungaretti era triste” mi dice “Je tiravano le bombe tutto er tempo…“
E come gliele tiravano. Dico. Solo per fa passare qualche minuto. E dare la vaga sensazione che lo sto esaminando…
L’occhio si fa pallato. La voce arrocchisce. Ansima. Poi
“Con le catapulte!” Attimo di silenzio. Forse ho capito male… Le catapulte?
“Si. I tedeschi je lanciavano sulla capoccia le bombe con le catapulte. So gente cattiva i tedeschi, prof. Hanno ammazzato pure Anna Franck…” già, magari pure lei con una catapulta…
Ho le lacrime agli occhi. Le asciugo con la mascherina che avevo posato sul banco…
Esce soddisfatto. Promosso. E neppure col minimo. La pedagogia dell’imbuto, con lui, ha prodotto i suoi risultati.
Per fortuna, l’ultima della mattinata è la glaucopide. Un esame vero. Condotto con intelligenza. Da lei. Senza mascherina. Sposta persino la barriera di plexiglas con aria infastidita. Alla fine si alza, gira intorno a banchi e viene diretta da me.
“Prof. Grazie. Mi mancherà…“
Anche tu mi mancherai. Mi mancheranno le tue domande…
“Posso almeno darle la mano? Visto che non posso abbracciarla…“
Me ne frego di quello che possono pensare gli altri. Tra un anno o giù di lì sarò in pensione.
Ci abbracciamo.