Misurare e misurarsi la febbre è una delle nuove mode di questo strano anno del, cosiddetto, Covid. Vai al cinema e ti misurano la febbre. Idem al ristorante o a teatro. E anche nei musei. Pure all’ingresso dei supermercati, ipermercati e affini… Almeno in teoria. Perché, poi, un minimo di buon senso, anche se faticosamente, tende a riemergere. E sempre più queste balzane disposizioni cominciano a venire disattese…. Inevitabile. Immaginatevi all’ ingresso allo Stadio, o, più in piccolo, di una scuola. Uno di quei mega istituti che, qui a Roma, possono contare anche duemila studenti. Senza parlare di docenti e personale vario. Anche prevedendo astrusi e intricatissimi ingressi scaglionati – con la “a” mi raccomando, anche se il mio attuale animo sarebbe propenso ad un mutamento di questa in “o” – all’ingresso, con l’ormai famosa pistoletta, ci vorrebbe non un bidello, bensì tutta la banda del Mazzo Selvaggio, Butch Cassidy e Sundance Kid in testa…
Problema che, comunque, non si pone, visto che per lo più le scuole, almeno qui a Roma, di tali presidi sanitari sono prive. Così noi insegnanti dobbiamo firmare un modulo dove, sotto la nostra responsabilità, dichiariamo di non avere la febbre. E di non essere positivi al Covid…
Quanto agli studenti ci ha pensato l’Azzolina o, comunque, qualcuno degli indifessi esperti del suo team.
“Lo studente che abbia la febbre e non sappia d’averla, non deve venire a scuola”.
Al confronto i paradossi degli Stoici o anche i Koan zen sono di una linearità disarmante…
Comunque, la febbre. C’è sempre stata, e la fatidica soglia del 37,5 è sempre stata superata dai ragazzi e dai bambini in età scolare. Senza troppi patemi da parte dei genitori. E senza tante ossessioni.
In primo luogo perché si è sempre detto che la febbre fa bene. Depura l’organismo. Poi perché favorisce la crescita. Ogni febbrone, si buttavano su centimetri. E ai padri venivano i sudori freddi al pensiero che si doveva rinnovare il guardaroba dei pargoli.
A casa, sotto le coperte, a brodo vegetale caldo e spremute, si stava solo con una febbre equina. Per il resto si usciva, si andava a scuola, si giocava a pallone…
Anche perché la febbre te la misuravano solo se stavi palesemente male. Tosse asinina. Raffreddore e sternuti che manco l’Etna… Mal d’ossa…
“OH, misuriamogli un po’ la febbre, che lo vedo sbattutino…” diceva allora mia madre.
Mio padre si limitava a stringersi nelle spalle. E talvolta commentava a mezza voce
“A meno che non dipenda dal Catalogo PostalMarket” : i miei coetanei hanno di certo compreso…
Comunque, a scuola nessuno si sognava di misurartela. Ed era di sicuro meglio così. Anche perché, se mi avessero preso la temperatura quando entrava Laura, della terza fila, con minigonna scozzese e stivali alti… beh, altro che quarantena…
Oggi, però, siamo nel paradiso degli ipocondriaci. Che sono felici perché, finalmente, non devono più vergognarsi delle loro paure e manie. Anzi, sono diventati paradigma del cittadino modello. E possono, loro, censurare, criticare, denunciare gli altri.
È anche un bengodi per i pigri.
“Oggi ho 36,9. Meglio non andar al lavoro. Potrebbe facilmente salire a 37,5 durante la giornata…”
Penso ai miei studenti. Che in questa atmosfera non impareranno, certo, granché di latino e matematica… Ma cresceranno pieni di fobie, ipocondrie, problemi psicologici…
E ricordo quando ti mandavano a scuola col raffreddore, perché all’aperto si respira meglio. E quando ti sentivi giù non c’era l’appuntamento dallo psicologo. Due uova sbattute a colazione, era la cura…
Stiamo da tempo crescendo una generazione di vetro. Pronta ad infrangersi. Inetta, nel futuro, a competere con chi viene da realtà ben più dure e selettive.
Con questa paura del Covid, i vecchi stanno spingendo sempre più i giovani a divenire degli smidollati e degli ipocondriaci.
È così, non per pestilenze vere o presunte, che si estinguono i popoli.