“Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno ciò che nessun maestro ti dirà”
Così Bernardo di Chiaravalle. Che era un maestro. Anzi, un Grande Maestro.
Non per nulla Dante lo pone come sua estrema “guida” al Mistero della Trinità. Ed è lui a elevare la splendida preghiera alla Vergine, “Vergine Madre, figlia del Tuo Figlio…” che alle Omelie di Bernardo è, appunto, ispirata.
A lui si deve la Regola dei Templari.
Ed ebbe parte non secondaria nella diffusione della grande architettura gotica e nel suo simbolismo.
Eppure…
Eppure Bernardo invita ad imparare dalle rocce e dagli alberi. Quasi fosse l’erede di una sapienza molto più antica del Cristianesimo. E arcana. Vengono in mente i Druidi, di cui parla Cesare. Sacerdoti /Maghi dei boschi. Capaci di ascoltare la voce delle piante. E la musica delle pietre. A ben vedere, l’archetipo remoto della Cattedrale Gotica. Pietre che cantano. Pilastri e guglie che formano una foresta. Ed esseri fantastici che sbucano da ogni anfratto…
Ma non è di Bernardo o del Gotico, o dei Druidi che volevo parlare…. Anche se, inevitabilmente, vecchie passioni e remote letture mi hanno preso la mano. Fulcanelli, Marius Schneider, Baltrušaitis…
È il concetto in sé che mi colpisce. L’apprendere dagli alberi e dalle pietre. Come se fossero le lettere di un alfabeto magico. Cosmico. In fondo, che altro sono le lettere dei nostri alfabeti? Nella tradizione cabalistica ebraica, i Sephiroth ne serbano ancora la memoria. E il segreto…
La vera conoscenza non viene dai libri. Tanto meno dagli odierni sistemi di informazione, tanto veloci, quanto superficiali. I libri, certo, sono utili. Importanti. E per me hanno, a lungo, rappresentato un’autentica passione. Probabilmente l’amore più lungo, e costante, della mia vita. Ma tutti gli amori finiscono. Per lo meno quelli terreni. E i casi della vita spingono ad allontanarsi dall’oggetto tanto amato e desiderato. Così ho compreso che si può imparare a vivere senza i libri. O meglio senza l’ossessione di possedere i libri. Perché, ovviamente, leggere è altra cosa… Ma sı può leggere senza il gravame di possedere una grande biblioteca. Dante non poteva avere molti libri. Non era ricco, come invece Petrarca. E poi era costretto all’esilio. A vagare di città in città. Da un castello all’altro. I libri li leggeva avidamente, li divorava quando e dove li trovava a disposizione. Per il resto aveva la memoria. L’unica biblioteca che non ti possono rubare. L’unica che ti puoi portare sempre appresso…
E poi c’era la capacità di osservare. E di ascoltare. Non gli uomini soltanto, e le loro storie. La natura. Gli alberi, le rocce…
Perché essere esuli, e vagabondi in quel tempo significava inevitabilmente passare al bosco. Tutta l’Italia era un grande, intricato bosco. E così l’Europa intera. L’incontro tra la macchia mediterranea, la foresta e, più a Oriente, la steppa.
Il sapiente, il poeta imparava ad ascoltare e vedere in quelle solitudini.
Oggi le distese boschive sono molto più limitate. L’antropizzazione del paesaggio ha raggiunto il suo apice. Eppure il bosco esiste ancora. Provate ad addentrarvi in un sentiero tra le Dolomiti. O arrischiate un vagabondaggio senza meta nei boschi, in buona parte sconosciuti, del Reatino. E guardate. E ascoltate.
Tornare al bosco. È l’invito, sibillino, di Ernst Jünger. L’invito al Ribelle. A colui che rigetta il sapere comune condiviso. E le regole, coercitive, di una società ormai sempre più degradata. Di una umanità priva di Uomini.
È il senso dell’ultimo grande romanzo della Trilogia. Eumeswil, la città post apocalittica, dove domina il Condor. E la maggioranza degli abitanti, dimentichi della storia e privi di dignità e memoria, si accontentano di sopravvivere. Martin Venator, storico e barman (significativa associazione, come significativo è il nome) torna al bosco. Ad ascoltare la voce delle pietre. A leggere la scrittura degli alberi. Perché lì vi è quella memoria cui gli uomini hanno abdicato. In cambio di una miserevole parvenza di vita…
Mi fermo. Analogie con il presente? Non voglio forzare… Ma Jünger aveva il dono della preveggenza…
Photo credits by Maria Infantino