Leggo in un post del mio amico Steno che, un tempo, sognava di scrivere un romanzo ambientato in un museo, dove il guardiano notturno colloquia con le statue antiche che prendono, magicamente, vita… Non continuo, perché spero che Steno si decida ad uscire dal sogno. E a scrivere quello che solo lui, vecchio custode della Tradizione italica, potrebbe davvero narrare.
Ma l’idea del guardiano e del Museo mi piace. Anzi, mi solletica. Forse anche perché mi ricorda “Una notte al Museo” e il suo sequel. Con uno straordinario cammeo di Robin Williams. Attore che amo molto e rimpiango. Le statue, di marmo e di cera, che si animano nella notte. E vivono una vita parallela. Altra. Mirabolante…
Perché i musei hanno questo strano fascino. Ambiguo. Di giorno sono poco più di delle discariche o cimiteri di anticaglie. Che mandavano su tutte le furie il genio iconoclasta di F. T. Marinetti. E non a torto, ché le opere d’arte decontestualizzate, strappate ai luoghi, agli spazi, agli edifici cui erano destinate, perdono gran parte del loro significato. I Bronzi di Riace sono splendidi, certo. Tanto che qualcuno li vorrebbe attribuire addirittura a Fidia. Ma questo è canonico e anche un po’ scontato. Più probabilmente sono opera di bottega italiota. Forse del grande, ancorché poco conosciuto, Pitagora di Reggio (nessuna parentela col filosofo, e considerato quarto tra i massimi bronzisti greci da Plinio il Vecchio). Ma questo conta poco. Fidia o Pitagora, i due Bronzi erano nati per un donario delfico. Parte di un gruppo che doveva far mostra di sé nella Via Sacra. Insieme ad altri. E lì era il loro contesto. Lì assumevano il loro pieno significato.
Noi moderni abbiamo l’arroganza di rubare queste opere, per chiuderle in delle teche. In delle prigioni. Le chiamiamo musei. In alcuni casi sono abbastanza ariosi e luminosi. Come quello di Storia dell’arte di Vienna. E tuttavia, ogni volta che vi sono stato mi ha colto un profondo malessere. Troppe opere. Troppi capolavori. Sale e sale zeppe di Fiamminghi. La salsiera del Cellini. Raffaello. Statue egizie. Anfore greche…come bere troppo vino. Per quanto eccellente, un Barolo, un Amarone d’annata , alla fine ne perdi il gusto. E la testa si confonde…
Più spesso, di giorno, i Musei sono discariche. Cimiteri. Raccolte, ammassate, di cadaveri. Buone solo per i topi. Di biblioteca e non. Oggi, poi, con l’uno vale uno, gli analfabeti orgogliosamente in trono, il distanziamento, il crollo del turismo … Luoghi sempre più dimenticati. Desolati. Anche se gli intellettuali – vil razza dannata- parlano saccenti di ricchezza, di giacimenti culturali. Espressione che ha già in sé un odore di cadaveri decomposti.
Ma la notte, forse, i Musei cambiano. Perché nella notte si rivelano molte cose che, durante il giorno, restano celate.
E allora non è impossibile immaginare che le statue prendano vita e i quadri si animino.
La Primavera del Botticelli diventa una magica festa, in cui le Grazie danzano fra il profumo paradisiaco dei fiori ed una musica celestiale si diffonde… E l’Auriga delfico cerca i cavalli da aggiogare alla quadriga, per una corsa tale da fare impallidire il ricordo della grande scena di Ben Hur….
Forse fare il Guardiano Notturno di un Museo avrebbe davvero un senso. O meglio, darebbe un senso alla vita. Perché ciò che appare morto di giorno, nell’ombra e nel silenzio diventa vita. Ed è vita vera. Un sogno, certo… Tuttavia immaginatevi di poter davvero contemplare Venere mentre esce dalle acque. E cogliere fiori, insieme alla Donna, in un giardino dipinto da Waterhouse. O sfidare nella lotta lo strigilatore di Lisippo… Mentre Platone e Aristotele spiegano i segreti del cosmo…
I Musei saranno anche cimiteri. Ma di notte ribollono di vita . E di bellezza. La città del giorno, è solo macabro spettacolo di morti viventi. Tetri. Antiestetici.