Il poeta è un “fingidor” scrive Pessoa, non ricordo più in quale dei suoi molti eteronimi. O incarnazioni…
È un fingidor, fingitore non perché millanti e ostenti sentimenti che non prova, inautentici… Perché “fingo”, in latino, ha ben altro significato. Plasmare. Immaginare. Nel senso che le immagini vengono plasmate dal poeta, che opera come un vasaio, un coroplasta, dando forma col suo tocco all’oggetto. Carezzando, e al contempo forzando la creta sino a che questa non corrisponda all’immagine che l’artista contempla mentalmente. Tant’è che “fingo” può anche voler dire “accarezzare”.
Il fingidor di Pessoa è, dunque, colui che esercita un potere. Una forza. E plasma, o per lo meno tenta di plasmare le cose secondo la sua volontà. In buona sostanza è un Mago. Perché mago deriva dal persiano, e indica, appunto, colui che ha il potere.
Il grande poeta portoghese lo sapeva bene. Non per nulla era un appassionato di esoterismo. E, dicono, un vero e proprio Mago. Capace di sfidare a distanza lo stesso Alistair Crowley. Ma per saperne di più bisognerebbe chiedere a Brunello De Cusatis. Il massimo studioso di Pessoa italiano.
Il “fingitore”, il poeta non è, dunque, l’ipocrita. Perché quest’ultimo recita una parte. Si traveste da ciò che non è. Etimologicamente è l’attore. Che viene plasmato dalla parte che deve recitare. Non è il soggetto attivo, creativo. Ma si adatta. Subisce.
La nostra è epoca di ipocriti. Guitti più o meno consapevoli. Che recitano parti scritte da altri. Si adattano. Per convenienza. Pigrizia. Interesse. E, soprattutto, paura. Ci vorrebbe un nuovo Torquato Accetto, con la sua intelligenza sottile e capziosa, forgiata alla scuola dei Gesuiti, per descrivere il mondo intorno a noi. Per dissezionare i comportamenti, e ciò che si cela dietro a questi. Solo che il vecchio cortigiano, vedendo ciò che accade in queste ore in Parlamento, non potrebbe più intitolare il suo trattato “L’arte della dissimulazione onesta”. Sarebbe costretto a cercare un altro titolo… Che so… “Il mestiere della dissimulazione disonesta”…
Ma torniamo al Poeta. Che “finge” nel pensiero, nell’immaginazione che la realtà sia altra, diversa da quella che, comunemente, appare come massiva e oggettiva.
Leopardi, di là della siepe del Tabor, nel pensiero si finge che vi siano Interminati spazi, sovrumani silenzi, profondissima quiete… Plasma la realtà secondo il suo volere.
Dante ama Beatrice, la Donna della sua mente, che nella realtà non poté mai neppure sfiorare, ma nell’immaginazione la fa sua. Instaura con lei un rapporto di intensità assoluta e inarrivabile. Sino al Paradiso.
Il Fingidor di Pessoa è colui che non si arrende all’apparenza della realtà. Che, in fondo, altro non è che una rappresentazione comune condivisa. Una colossale illusione in cui siamo imprigionati. Incoscienti delle sbarre che ci circondano.
È colui che trova in sé la forza, il potere magico di modificarla quella realtà. Di liberarsi di catene, vincoli e maschere.
E allora tutto, proprio tutto gli diventa possibile. Essere libero, in un mondo di schiavi. Naufragare in un Oceano immenso e silente. Accarezzare con la mente la Donna assente. E conquistarla. Conquistando il Giardino dell’Eden.