Quos vult perdere, Juppiter dementat prius.
Giove fa prima impazzire coloro che vuole portare alla rovina.
Vecchio detto latino, declinato, poi, in diversi modi. Sostituite Deus a Jupiter e ne avrete la versione cristiana, citata in vari modi e vari contesti. Persino dal parroco di “Pane, amore e fantasia” a proposito della cotta del Maresciallo de Sica per la Bersagliera. Una ancora acerba, ma dirompente Gina Lollibrigida.
È un detto che si adatta perfettamente al destino degli individui, come a quello dei regni e dei popoli. Alla follia dell’amore come alla ybris, la tracotanza del potere. Di questa l’immagine simbolo è Capaneo che, sulle mura di Tebe, osa sfidare Giove stesso. Che, ovviamente, lo fulmina. Dante ne fa la figura paradigmatica della blasfemia, riprendendolo dalla Tebaide di Stazio. Un capolavoro oggi pressoché dimenticato, ma che il Poeta nostro ben conosceva ed amava. Tuttavia Capaneo ne è un esempio titanico. E, a suo modo, eroico. Mentre questa demenza, per lo più, si manifesta in forme molto meno nobili. E sostanzialmente tristi.
“Dementat”, far uscire di mente. Anzi far cadere le facoltà intellettive. Taluno traduce come render ciechi. Ma la cecità è una cosa, la demenza ben altro. E non ha nulla a che vedere con la pazzia dolente ed eroica dell’Aiace che Foscolo trasse da Sofocle . Né con quella poetica e sognante di don Chisciotte. È un instupidirsi, un ottundersi…. la cosiddetta demenza senile ne è l’estremo riverbero.
E non è qualcosa di fulmineo. Non si cade e si batte la testa, né si viene colpiti da una folgore. È un processo graduale. Che inizia in modo quasi impercettibile. E perciò tanto più pericoloso. Come tante piccole ischemie cerebrali. Perché ti porta alla totale demenza, o stupidità, senza che tu, e forse neppure coloro che ti sono vicini, ne percepiscano i segni. Se non quando è troppo tardi per poter fare qualcosa.
Si comincia, ad esempio, col convincersi, o lasciarsi convincere che qualcosa o qualcuno può rappresentare una minaccia per la tua sicurezza. Non è vero, o per lo meno non hai ragioni concrete per crederlo. Ma te ne convinci e, cominci a divenire guardingo. Sospettoso. Non succede nulla a te. Ma… pensi che potrebbe succederti. E ne fai una mania.
A poco a poco questa mania ti condiziona. Limita la tua libertà di movimento. Aliena le tue frequentazioni. Danneggia il tuo lavoro. Continua a non succederti niente. Ma questo, invece di farti rinsavire, ti rafforza nelle tue fissazioni. Sono salvo perché sto attento. Mi proteggo. Ti dici. E sprofondi sempre di più. Un abisso senza fondo. Precipitando perdi non solo la tua libertà, ma anche la dignità, il rispetto di te stesso. E il senso estetico. Ti riduci, o ti lasci ridurre, a qualcosa che tu stesso avresti, in precedenza, trovato penosa, ridicola. Addirittura ripugnante…
Succede così agli individui. Che divengono dipendenti dalle loro manie. Come drogati. O alcolizzati cronici. Con la differenza che questi sono coscienti della tragedia. Ed hanno perciò possibilità di redenzione. Come il Giocatore di Dostoevskij.
Il demente, colui che abdica al ben dell’intelletto, no. Non ha possibilità di salvezza. È condannato. E senza neppure un alone di tragica grandezza. Giove ha deciso di perderlo. Punto.
E succede anche ai popoli. La paura e, al contempo, l’arroganza ne sono i sintomi. Corrono come i lemmings verso l’abisso. E sono ferocemente ostili a chi cerca di metterli sull’avviso.
Laocoonte lo ha sperimentato sulla pelle sua e dei suoi figli. Come ci ricorda il capolavoro cavato dal marmo dai maestri della Scuola di Rodi… Giove ha deciso. Il Cavallo deve entrare oltre le alte mura. La città verrà distrutta. E le genti, non più un popolo, disperse…
Ovviamente, ogni eventuale assonanza con certa realtà contemporanea è… puramente casuale.