“Ne uccide più la paura della spada…”
No, non è Nietzsche. E neppure Hagakure, il codice dei samurai, diffuso sopratutto in forza del commento di Mishima.
È una battuta da “Il trono di spade”, serie televisiva di grande successo. Un mix ben orchestrato di fantasy, occulto, orrore, sesso… E non privo di echi e risonanze che dimostrano come gli autori abbiano saputo interpretare e dare forma ai romanzi visionari – Le Cronache del ghiaccio e del Fuoco – di George R. R. Martin. Cui la serie è ispirata. Martin, dal canto suo, è un autore anomalo. Cupo, malinconico, ben poco accattivante e per nulla prono alle convenzioni del genere. Forte nella sua opera l’elemento dell’orrore. E soprattutto il senso del tragico. Che gli deriva, chiaramente, da Shakespeare. Soprattutto quello dei Cronical Papers… E il tragico si trasfonde anche in una forte componente erotica. Mai serena, però. Nè meramente solleticante e accattivante. L’eros è una componente essenziale della tragedia. Come in Sofocle.
Ma torniamo a quella battuta.
“Ne uccide più la paura che la spada”.
Echi, dicevo. Echi che vengono da antichità remote. E giungono sino a noi. Ancorché flebili. Confusi…
“Io non ho nemici – insegna ancora Hagakure – la mia paura è il mio unico nemico.”
Ed è la paura ad uccidere gli uomini. Non la spada. Colui che si fa afferrare dalla paura è già condannato. In ogni forma di combattimento. E la paura non è legata al valore del tuo avversario. Quello, semmai, dovrebbe incutere rispetto. Prudenza. E renderti più scaltro. Vigile…
La paura invece ti rende cieco. Ti disarma, anche se hai a disposizione armi potenti. Anche se sei il più forte.
E la paura ha un’unica scaturigine. Non vuoi morire. Ovvero rifiuti l’idea della morte. Ti rifiuti anche solo di concepirla riferita a te. Anche se sai perfettamente che tutto ciò che vive è destinato a morire. Ma tu vorresti chiamarti fuori. Essere l’eccezione. E rifiuti anche solo di pensare alla tua morte.
Ma prima o dopo la vita ti presenta il conto. E ti trovi faccia a faccia con la grande paura. E allora sei disarmato. Perché solo chi sa di dover morire è in grado di brandire la spada. È in grado di vivere. Perché la vita è combattere. La morte l’impotenza a farlo. E la paura ti rende impotente. Morto già da vivo.
Così come per gli individui, è per i popoli. Che, in fondo, altro non sono che individui collettivi.
I popoli che hanno paura si disregano. E scompaiono dalla storia. Nessuna civiltà è stata davvero annientata dalle spade. Molte, se non tutte, dalla paura.
E un popolo che non è in armi, che vive di paure e nella paura, non trova difesa alcuna. Non vi è Dio disposto a combattere per lui.
Ci estingueremo. Noi italiani, intendo. Ma non perché i tedeschi, o i francesi sono cattivi e ci schiacciano in Europa. Non perché i russi o i cinesi ci minacciano, o gli Amerikanı ci tengono sotto il loro tallone. Non perché la marea montante di migranti dall’Africa ci sommergerà… Ci estingueremo perché già siamo morti. Perché non siamo un popolo con un senso non archeologico della sua storia. E con una visione del futuro. Siamo solo una miserevole somma di egoismi e paure individuali. Troppo vili e spregevoli per osare soltanto la via della spada. Pronti a subire tutto. A sopportare tutto. Ad accettare tutto. Per non morire.
E invece moriremo. Non con la spada in pugno e il sole negli occhi, come Ettore, che non ebbe paura di affrontare l’invincibile Achille e il suo fato.
Moriremo disperati, rantolando nelle nostre tane, i volti coperti dalle maschere della vergogna che ci impediscono di respirare.
Moriremo tenza lasciare traccia. Senza qualcuno che preghi sulle nostre tombe. Senza eredità. Perché abbiamo distrutto tutto. E i giovani non potranno che maledire la nostra memoria…