È il giorno di Lug. Il giorno del sole. Il cuore di quello che, i Romani, chiamavano la Canicola, perché la nostra stella attraversava la costellazione del Cane. E incendiava l’aria con i suoi raggi, mai roventi come in quel giorno. Più tardi, entrò anche in uso l’espressione “solleone”, ché tra la fine di luglio e la metà d’agosto il Sole entra, appunto, nella costellazione del Leone. Espressione fortunata, in quanto mai, come in questo periodo, il Sole, morde e brucia.
“Da quando tu prendi, tu prendi il solleone, sei rossa, spellata, sei come un peperone…” così Edoardo Vianello, re dei “musicarelli” anni ’60…. Altra Italia, altro mondo. Altro modo di vivere l’ estate, leggero, svagato. Allegro e superficiale. Come ci ha raccontato in modo impareggiabile Alberto Arbasino in “Fratelli d’Italia”, straordinario spaccato di quegli anni. Quando vi era una gran voglia di dimenticare la guerra, le rovine, i faticosi anni della ricostruzione. Quando ci si illudeva con il boom economico. E ancora lontani erano il ’68, l’ Autunno caldo. La stagione del tutto è politica, il terrorismo… Remota , poi, inimmaginabile, questa strana estate del post pandemia, della paura, delle mascherine in spiaggia… degli scherani del Conte Zio che impazzano, persecutori, tra i bagnanti. Della decrescita (in)felice… Il nostro tetro, nonostante il sole,presente. L’estate del nostro scontento.
Per gli antichi popoli celtici – che popolarono un po’ tutta l’Europa, contribuendo a forgiarne anima e immaginario – era Lughnasadh. La festa di Lug. Che cadeva a quaranta giorni dal Solstizio, quando più rovente è l’aria, ma l’estate, proprio per questo, già mostra i segni del prossimo declino. E dell’avvicinarsi dell’autunno.
Le foglie non sono più, ormai, verdi brillanti. Cotte dal Sole, assumono toni cupi, venature rosse e gialle. L’erba è ormai secca. Stendersi su un prato, in montagna, non regala più alcun refrigerio. La sabbia delle spiagge è rovente nel meriggio. E le onde, pigre, della risacca sembrano davvero le loriche di mille catafratti che avanzano lentamente. Le pozze, disseccate, emanano un sentore di putrefazione. Dolcigna afa di morte, la chiama D’Annunzio nell’Alcyone. Diario di un’estate. Di una vacanza. Ma anche, sopratutto forse, canto della natura che fiorisce e si decompone. Canto di morte. Perché in questi giorni il cosmo intorno a noi è un enorme Atanor. Un forno alchemico. E tutto vi viene cotto. Disseccato. Il Pescarese lo sapeva bene…