Shubun-no-hi. Un dipinto di Hiroshige, tre oche selvatiche che volano nella luce della Luna. Rende perfettamente l’atmosfera di questa festa. La prima Luna d’autunno. La Luna dell’equinozio. Che in Giappone è sempre stata, e nonostante tutto continua ad essere, una festa grande. Uno dei momenti di passaggio dell’anno. Uno dei nodi del circolo immutabile del tempo.
A primavera era uso andare a contemplare i ciliegi in fiore. Straordinaria la descrizione che ne dà Mishima in “Neve di Primavera”.
Ad Autunno era il momento degli aceri.
L’acero è il simbolo della modestia. E del raccoglimento interiore. Nel periodo Heian, la raffinata aristocrazia dell’antica Kyoto si radunava per contemplare la pioggia delle foglie dell’acero. Un tripudio di colori fra l’ocra e il rosso. Ed era la festa dell’equinozio. Mangiavano dolcetti di riso di forma rotonda, perché è la forma gradita agli Spiriti dei defunti. I Kami. Gli antenati. Che all’equinozio, appunto, si palesano ai loro discendenti….E, in quell’occasione, suonavano e componevano Waka – le brevi liriche da cui, molto più tardi, nacque l’haiku – dedicate alla Luna. Perché era anche Tsukimi. La festa in cui si contempla la Signora della Notte. La prima Luna d’autunno.
Il periodo Heian fu l’età classica della letteratura giapponese. Epoca di inarrivabile eleganza, in cui le dame di corte scrissero i grandi classici della letteratura nipponica. Murasaki Shikobu diede vita a “Il principe splendente”. Sei Shonagen al, sensuale, “Libro del guanciale”. Gli uomini, gli eleganti cortigiani Fujwara, disprezzavano l’uso della lingua natia. Preferivano il cinese, la lingua degli studi classici. Poi verrà l’epoca del Bakufu, il governo della tenda. E dei Signori della Guerra, gli Shogun, col seguito dei samurai. E tutto cambierà.
Ma si continuò a festeggiare L’equinozio. A contemplare la pioggia di foglie d’acero. E a cantare la Luna.
L’equinozio è nel segno dell’Acero. E della Bilancia. L’equilibrio fra luce e tenebra. Nella stagione, e nell’uomo. Perché luce e tenebra coesistono nel mondo e in noi. L’una non si dà senza l’altra.
Nel mondo iranico – ed anche in quello turco e in ampie zone dei Balcani – è festa importante, parallela a quella di Primavera, Novruz. In Persia la chiamano Mehr, ed è un retaggio di Zarathustra. Si celebra l’equilibrio. Prima che la natura precipiti, rapidamente, verso la tenebra invernale. Ma è un precipitare esteriore. Ché nei cuori degli uomini avviene l’opposto. Si accende e cresce la luce interiore. Quella del pensiero. E di una forma di amore più profondo dell’eros dell’estate.
Nel mondo incantato delle nostre favole, Oberon e Titania si ritraggono nel seno delle colline ove è il Regno del Sidh. Le fate più non danzano alla musica degli elfi. Ma nei cieli si odono altre voci. Altri canti. Inizia la stagione delle streghe, che volano nella luce della luna.
Sulle tavole non dovrebbero mancare gli ultimi fichi e i fiori di stagione. E le castagne. E pani con noci, mandorle, frutta secca e disidratata…
“Autunno. Un tappeto di foglie rosse. La veste dei Tang”
Così Ryokan, il poeta e maestro zen, saluta l’Equinozio. Malinconia, certo… eppure…