E così anche Vasco si è schierato a difesa della mascherina, dei guanti di lattice, dei distanziamenti… Il cantante di “Voglio una vita spericolata” è diventato er sor Prudenzio. È un vecchietto, si dirà. Malaticcio. Ha paura di morire… Normale. Bisogna capirlo…
No. Mi dispiace, ma non ci sto. Non si può costruire per decenni le proprie fortune – ed accumulare una vera fortuna – sulla fama di cantante maledetto. Non si può urlare canzoni – alcune anche belle, non lo nego – incitando i giovani a esperienze estreme, emozioni forti, trasgressioni… E, poi, arrivati al dunque – e tutti, prima o poi ci si arriva – comportarsi come il pensionato la cui massima trasgressione è stata andare a vedere un cantiere senza dirlo alla moglie. Anzi, peggio.
Quella del popolare Vasco è, però, soltanto una cartina di tornasole. Che dimostra di che pasta siano fatti i “maledetti” alla moda, tanto ammirati ed osannati. E tanto imitati, purtroppo.
Una pasta avariata. Marcia. Che va in polvere al primo alito di vento… Come tutti i falsi maestri e i rivoltosi da cuccia e salotto.
I veri maledetti sono esistiti. Ma non hanno avuto fortuna. E non ne hanno accumulata sopratutto. Avevano un mostro dentro che li divorava. Un demone, o un Angelo d’Occidente, con cui hanno lottato per tutta la vita. Come il John Dee del capolavoro di Meyrink.
Di questa lotta oscura, di tanta disperazione è documento ineguagliato “Una stagione all’inferno”. Discesa agli inferi della propria anima. Che condusse Rimbaud a disperdere il suo genio, e gli ultimi frammenti della sua breve esistenza, in Africa, quella Nera, tra mercanti di schiavi e trafficanti di armi. Non a nascondersi nella propria villa, con la mascherina, per paura del raffreddore…
E Trakl si tolse la vita, al culmine della dissipazione e della disperazione, con una overdose di morfina. Non aveva invitato gli altri a drogarsi, per poi arrivare vecchio e tremare di fronte alla morte… Non aveva neppure trent’anni. Ci ha lasciato alcune delle più intense liriche in lingua tedesca. E la visione allucinata della dissoluzione del suo mondo, la Felix Austria. Nonché una passione malata per la giovane sorella. Che si uccise dopo di lui. Con un colpo di pistola…
Ma quelli erano maledetti veri. Non alla moda. Considerati tali solo perché infarciscono di banali porcherie e di un po’ di sesso volgarotto i loro testi. Non erano maledetti utili per chiosare su Istagram foto di inquiete casalinghe in vena bovaristica…
Il maledetto ha, come dicevo, un demone che lo perseguita. E una disperata coerenza con se stesso. E con il suo demone, appunto. Lermontov ha descritto questo rapporto tormentato, e al contempo creativo, nel più suggestivo dei suoi Poemi. Ed ha previsto la propria morte ne “Un eroe del nostro tempo”.
Il vero maledetto non conosce pentimento di comodo. Il prete chiamato in fretta e furia al capezzale del morente perché… non si sa mai…
Può redimersi, certo. Ma non per debolezza e paura. Per uggia della vita condotta, come l’Innominato manzoniano. Per agnizione di una potenza superiore. Il finale, possente, del Giocatore di Dostoevskij…
Ma oggi siamo nel regno della mediocrità. E anche i, cosiddetti, ” maledetti” non sono che parodie. Maschere dietro alle quali si cela vuoto e banalità.
In fondo, il vecchio Vasco non ha che cambiato maschera. Rivelando, per paradosso, il suo vero volto…