Con passo veloce, nonostante l’afa che in queste ore rende l’aria ferma e pigra, si avvicina l’autunno. L’ultimo mese d’estate è un rapido declino. La corsa verso il buio. Le giornate diventano sensibilmente più corte. L’aurora più tarda. La sera scende rapida e improvvisa…
E con l’autunno si avvicina la vendemmia. Già ora l’uva è tornata negli scaffali dei fruttivendoli. Ma è uva che viene da lontano. Importata. Presto, però, si comincerà davvero a vendemmiare. Rinnovando uno dei riti più antichi della storia umana. Le cui origini si perdono, e ritrovano, tra le nebbie dei miti.
Dyoniso portò la vite in Grecia, tornando dall’Oriente. Un Oriente indefinito, remoto e misterioso. Che avrebbe conquistato non con la forza delle armi, bensì con un seguito di fauni e ninfe, baccanti e satiri. Un corteo la cui potenza si esprimeva nella danza e nel canto. E dal quale nacque la tragedia greca.
Nonno di Panopoli, ultimo bagliore della grande tradizione ellenistico – romana, ci dice che Dyoniso era giunto sino all’India. E non per nulla Alessandro il Macedone si presentò come il nuovo Dyoniso quando, annientato l’impero persiano, fece irruzione nella valle dell’Indo. Seguito, però, non da coreuti e danzatrici. Bensì dalla Falange dalle lunghe Lance comandata da Selelco Nicator. E dalla cavalleria macedone ed epirota alla cui testa vi era Antigono Monoftalmo. Era un conquistatore. Ma si sentiva il nuovo Dyoniso. In fondo avevano un padre in comune…
La vite, però, non giunse dall’India. Piuttosto dal Caucaso. Ove anche i ritrovamenti archeologici attestano la più antica coltura di vigneti. E poi, c’è la Bibbia. Noè ebbro dopo essere sceso dall’arca sull’Ararat. Ebbro del primo vino…
Il succo fermentato dell’uva, il vino ha sempre avuto una funzione magica. Rituale. Probabilmente sin dai cacciatori del paleolitico, che raccoglievano e lasciavano fermentare i frutti selvatici.
È una bevanda che infonde allegria. E che può portare all’ebrezza. Quindi ad una forma di estasi. Di uscita dal corpo. E di comunione con gli Spiriti. O con un Dio. E poi il vino evoca il sangue. Il sacrificio cruento. Nella messa cristiana ne sopravvive la memoria arcana.
Il vino ha anche una stretta connessione con i poeti. E la poesia. Che altro non è che una forma di estasi ebbra. Alceo canta le libagioni degli uomini a banchetto nella sala d’armi. Orazio chiede al fanciullo di mescere vino “mero”, puro, senz’acqua. Per lenire il senso degli anni che fuggono Irrefrenabili. E la neve che imbianca i capelli, come il Soratte d’inverno…
Ma sono arabi e persiani che hanno cantato con più intensità magica il vino. Forse incitati proprio dalla proibizione coranica, che li spinse a trovarvi significati esoterici più profondi. Leggete Omar Khayyam e capirete…
La Vendemmia chiude l’estate. E apre la stagione autunnale. Anche questo è fondamentale. Anzi, sopratutto questo. Perché la Natura, o forse un Dio celato, ci dà un segno. La morte autunnale è solo apparenza. Verrà, dopo l’inverno, la rinascita. Il vino che fermenta nei tini, e che si comincia a bere, non a caso, prima di Natale – “Novello”, lo si chiama oggi, “Vin Novo” nelle mie terre – altro non è che il sangue che ribolle e si prepara a fluire con rinnovato vigore.
Dunque, stiamo allegri, e intoniamo canti e intrecciamo danze, secondo l’uso che ancora perdura in alcune aree dell’Italia. Che i greci chiamavano anche Enotria, la Terra del Vino. E lasciamoci andare alla gioia di vivere e, sopratutto i giovani, agli amori…
Il Conte Zio e i suoi lugubri sostenitori possono chiudere le discoteche. Ma non vietare la Vendemmia…