“Se l’estremismo è la malattia infantile della rivoluzione, l’antagonismo è la malattia rimbambita dell’estremismo”. Gabriele Adinolfi, uno degli storici fondatori di Terza Posizione, su noreporter rileva come le destre italiane stiano perdendo una occasione storica per contrastare le oligarchie che detengono il potere. E Stefano Zecchi, a margine della presentazione ad Ayas Champoluc del suo libro sul 68 visto da destra (Anime nascoste), si chiede come possa pretendere di creare una classe dirigente di alto livello una destra che, a prescindere dalle diverse accezioni, riesce a litigare ogni volta che una discussione coinvolge più di una persona.
Che l’analisi sia di un personaggio che quel mondo “di destra” l’ha conosciuto dal di dentro, o di un professore di Estetica che lo ha guardato con mai celata simpatia da fuori, il risultato non cambia. La classe dirigente per guidare il Paese non c’è. Ma, soprattutto, non la si vuol creare.
Da un lato esistono enormi limiti strategici. Manca la capacità di comprendere la realtà, figurarsi immaginare il futuro. Dall’altro lato i limiti sono caratteriali: si attende l’arrivo del nuovo Duce e, nell’attesa, nessuno è disposto a riconoscere all’altro il diritto alla decisione ed al comando. Ci si affida a Meloni e Salvini come fossero grandi condottieri ma non si accettano (a ragione) gerarchetti e caporali di giornata trasformati in colonnelli.
Così i partiti privi di classe dirigente scelgono, per le elezioni comunali, candidati della società civile che nulla hanno a che fare con i partiti che li sostengono. L’obiettivo non è governare ma piazzare un amministratore del condominio/città in grado di assegnare qualche appalto agli amici degli amici. Ed in mancanza di un programma che vada al di là del nuovo nome del fornitore di lampadine per l’illuminazione pubblica, si rischia di consegnare per l’ennesima volta le grandi città ad una sinistra che sa perfettamente come gestire il potere. Come ha fatto in questi anni nei tribunali, nelle università, nelle associazioni di categoria, nei festival musicali o letterari, nelle nomine dei vertici delle fondazioni bancarie e delle grandi aziende pubbliche.