Bisogna fare pulizia anche tra magistrati e certi giornalisti
ha affermato il Procuratore antimafia di Catanzaro Nicola Gratteri.
Un’espressione precisa e inequivocabile che deriva non solo da un pensiero lucido e da un’esperienza decennale, ma soprattutto da quella onestà intellettuale poco accettata e diffusa nella corrente melassa conformista.
Informazione e magistratura: due dispositivi sfuggiti al controllo democratico e, documentatamente, fattori di condizionamento della politica e delle conseguenti riforme. Oppure, perfettamente adeguati a questa finta democrazia, che punta a disaffezionare la gente dal gioco politico e accusa di populismo chi pretende di partecipare alle decisioni sulla propria Nazione.
Per la questione ‘mass media’ sono significative le interviste e i video di Marcello Foa, per questo non gradito ai poteri controllanti le notizie e le coscienze delle persone, il quale più volte sottolinea l’operazione in atto di orientamento manipolativo ben più grave della esplicita censura dei sistemi totalitari.
Strategia più grave perché più pericolosa in quanto, attraverso agenzie internazionali, e con tattiche perfettamente studiate di tipo psico-sociologico, viene organizzata con metodica scientifica la diffusione di falsificazioni dall’apparente credibilità, al fine di scatenare un rumore mediatico confusivo e distorcente la verità.
In contemporanea, le fonti pulite e non allineate vengono estromesse da ogni possibile confronto, quando non esorcizzate attraverso la squalifica diffamatoria e l’emarginazione dialettica.
Molto preoccupante è l’ipotesi punitiva nei confronti delle cosiddette fake news diffuse dai social network, perché fuorviante e tesa a colpire la parte più innocua delle bugie mediatiche. Foa lo ribadisce: è il potere, sono le istituzioni gli apparati più forti e pericolosi della falsificazione della informazioni.
Per quanto riguarda la cosiddetta ‘giustizia’, i fenomeni disfunzionali sono evidenti nella quotidianità, meno fini e subdoli di quelli mediatici.
Dallo spaccio riconosciuto come opportunità lavorativa alle pluriaggressioni, sessuali e non, ammorbidite penalmente dalle disfunzioni psichiche o dalla diversità culturale degli aggressori; dal travisamento del corpo, sia religioso islamico che profano del gay pride, ammesso come fede o come professione di diversità, ai diritti di clandestini e detenuti in nome di una tolleranza che nulla ha a che spartire con la legge.
Per gli scandali interni, poi, illuminanti inchieste sono a disposizione nelle librerie.
E allora, riconosciuto il degrado di questi apparati, come intervenire per la loro pulizia?
Semplice. Per lor signori basterebbe codificare un princìpio che è sempre applicato per le professioni sanitarie, ma che è anche dilatato nella responsabilità di operatori di altri settori della società, dagli agenti di polizia ai baristi, dagli idraulici ai geometri: rispondere per negligenza, imprudenza e imperizia.
Quel concetto di ‘colpa’ che nel diritto indica un atto giuridico nel quale l’agente non voleva la realizzazione di un evento avverso alle intenzioni, ma che tuttavia si è verificato in base a diverse cause.
Altro che libero convincimento per i signori togati quando dovessero rispondere per lo spacciatore, lo stupratore, il violento ed altri ameni frequentatori di commissariati e caserme che delinquono in recidiva dopo le esilaranti sentenze dei suddetti.
Altro che libertà di stampa e di interpretazione per i pennivendoli asserragliati nelle loro redazioni quando dovessero rispondere delle loro notizie ambigue, delle false interpretazioni propinate, delle faziose valutazioni su personaggi ed eventi poco graditi ai loro padroni.
Magistrati e giornalisti finalmente esseri umani normali che, come ogni cittadino, devono rispondere delle loro superficialità, delle loro trascuratezze e delle loro imprevidenze, senza la pacchia del privilegio di immunità.