Perfida. Chiara Appendino, sindaco di Torino, arrivata alla fine di un mandato che non sarà rimpianto spiazza tutti con la proposta di individuare un candidato comune per 5 Stelle, Pd e LeU. Forse l’aspetto più clamoroso è che il sindaco scadente abbia finalmente avuto un’idea di impatto. Peccato che le siano completamente mancate durante gli anni in cui ha malamente guidato la città.
Però, anche in questo caso, la proposta pare più una vendetta personale che un progetto a favore di Torino. Perché un accordo al primo turno tra i partiti della sinistra subalpina metterebbe in un angolo i Moderati che hanno sempre escluso l’eventualità di un’intesa con i 5 Stelle. Per poi ammorbidire la posizione spiegando che, per un eventuale ballottaggio, l’accordo si potrebbe fare. Ora si vedrà se si rimangiano anche il rifiuto del primo turno.

Ma, soprattutto, un’eventuale intesa rimetterebbe in forse la candidatura di Stefano Lo Russo, del Pd. Perché – ed è qui la vendetta – Lo Russo ha trascorso questi anni di opposizione in consiglio comunale attaccando Appendino su ogni iniziativa. Dunque un accordo sarebbe più agevole, ed anche più credibile, con un altro candidato sindaco, meno divisivo.
Ovviamente una simile alleanza avrebbe anche il merito di rendere esplicito ciò che si tendeva a nascondere. Cioè che il candidato del Pd si sarebbe alleato con i 5 Stelle al secondo turno. Almeno ora ci sarebbe il pregio dell’onestà e della trasparenza.
I giochi, però, potrebbero riaprirsi anche sul fronte opposto. Calenda e Renzi hanno sempre escluso alleanze con i 5 Stelle. Per poi entrare comunque a far parte dell’ammucchiata che sostiene Draghi. Però a Torino parevano davvero intenzionati a rifiutare l’abbraccio dei grillini. Dunque con chi andranno? Da soli al primo turno per poi rassegnarsi a sostenere la coalizione con i 5 Stelle?
O cercheranno una convergenza con l’attuale teorico candidato del centrodestra, sperando però che venga cambiato?
La soluzione più facile per tutti, però, sarebbe una bocciatura della proposta di Appendino. Con la farsa del rifiuto di accordi al primo turno e la pagliacciata successiva dell’intesa per il ballottaggio.