La votazione del 30 dicembre al Senato ha reso l’aborto legale in Argentina, al pari- nel subcontinente latinoamericano- di Cuba, Uruguay, Porto Rico e due stati del Messico (quello della capitale e quello di Oaxaca). La legge sulla quale ha puntato fortemente l’attuale presidente Alberto Fernández, però, continua a dividere il Paese sudamericano.
Basti pensare alle due votazioni con cui è passata, prima alla Camera con 131 voti favorevoli, 117 contrari e sei astensioni e poi in maniera ancor più risicata al Senato con 38 voti favorevoli, 29 contrari e un’astensione.
Una divisione interna anche al Frente de Todos, la coalizione peronista che detiene la maggioranza in entrambi i lati del Parlamento. L’ex presidentessa, ora vice di Fernández, Cristina de Kirchner sembrerebbe essersi convinta a riguardo dopo le insistenze del popolo verde (colore scelto dai gruppi femministi per la battaglia sulla legalizzazione che portavano avanti da oltre un decennio) di cui fa parte anche la figlia Florencia.

Con una situazione economica tutt’altro che rosea e una prima parte di mandato vissuta con l’emergenza generata dalla pandemia di coronavirus, l’attuale esecutivo spera di poter rilanciare al più presto l’agenda politica-programmatica con cui aveva facilmente vinto le elezioni generali nell’ottobre 2019 per presentarsi in gran forma agli occhi degli elettori il prossimo 24 ottobre per le elezioni di midterm riguardanti 24 dei 72 seggi del Senato e 127 dei 257 della Camera.
Per farlo sarà la politica estera a subire una decisa accelerata fra la riproposizione del contenzioso relativo alle isole Malvinas/Falkland con il Regno Unito e il tentativo di ergersi al ruolo di potenza regionale sfruttando il turno di presidenza alla Celac (la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi).