Questa è la sua stagione… Certo, molte altre figure si agitano tra le brume di Gennaio e le gelate improvvise di Febbraio. Jack Frost, lo spirito folletto della galaverna che smetterà di combinare gelidi scherzi e di decorare i vetri solo nell’ancor lontano Marzo…. Nonno Gelo, con i suoi venti severi e i turbini di neve. La Vecchia, dalle molte incarnazioni e i molti nomi. E che presto, con date diverse, verrà simbolicamente arsa nei grandi falò che invocano il ritorno della primavera…
Ma questi sono Spiriti che attraversano un po’ tutto l’inverno. Vagando da Dicembre a Marzo nei sentieri boschivi coperti di neve e sulle vie delle città, silenziose e gelate. Mentre queste poche settimane, questa manciata di giorni dall’Epifania alle Ceneri, rappresentano il suo momento. Il momento in cui può interrompere l’eterna cavalcata intorno al mondo, e scendere sulla terra. Per aggirarsi tra di noi con la sua smorfia deforme e sardonica. Per lasciarsi andare ancora ad uno scherzo. Ad una beffa…
Sto parlando di Arlecchino. Sì, proprio di lui, della maschera della Commedia dell’arte, del servo sciocco per antonomasia, che il Goldoni trasformò in indimenticabile personaggio nel suo “Servitor di due padroni”. E in quel frenetico cammeo ne “La famiglia dell’antiquario”.
Già, ma Arlecchino è, appunto, una maschera comica. Che c’entra con le altre figure e “presenze” di cui sproloquiavi prima?

A tutta prima, questo ipotetico critico sembrerebbe aver ragione da vendere. Solo che non conosce un particolare. Il nostro Arlecchino si è sì sovrapposto agli Zuan o Zanni, i servi della Commedia rinascimentale, che avevano remote radici nel Maccus dell’Atellana. E li ha, un poco alla volta, assorbiti. Ma è stata, appunto, solo una sovrapposizione. Perché lui, Arlecchino, non viene dalla Commedia, dalla farsa. Dal teatro. Viene da un altrove molto, ma molto più misterioso. E neppure tanto divertente…
La prendo larga… abbiate pazienza. Oderico Vitale era un Monaco del XI/XII secolo. Uno di quei grandi eruditi che trascorrevano la vita negli Scriptoria, ed ai quali dobbiamo molta della nostra cultura. Anche se lo abbiamo, ormai, completamente dimenticato.
Dunque, Oderico, nel suo monastero di Normandia, scrisse, tra le altre cose, una monumentale Storia Ecclesiastica. Una Storia riccamente decorata, come usava, da aneddoti vari. Tra i quali uno particolarmente inquietante.
Racconta di un corteo, o se vogliamo una processione notturna di una Familia Harlechini. Una sfilata di anime morte e dannate, condotta da un mostruoso demone. Quello che, nella leggenda romanza, viene chiamato Hallequin. E che capeggia una versione della Caccia Selvaggia.
Per altro anche Dante, fra i Malebranche, i diavoli che uncinano e squartano i barattieri immersi nella pece bollente, cita tale Alichino…Per inciso, i barattieri sono i politici corrotti. Quelli che barattano il bene comune per interesse personale…
Insomma che il nostro buon Arlecchino in origine fosse un diavolaccio, e anche importante, è cosa acclamata. Un diavolo, ma io preferisco Demone alla greca, però pur sempre legato alla, breve, stagione del Carnevale.

Che è periodo di follia. E di sarabanda. Danze selvagge e, talvolta macabre. Perché i Demoni, spiriti che vi partecipano con le loro maschere hanno un’espressione… ambigua direi. Incutono paura. Ma, al contempo, hanno un che di sfrenatamente allegro.
Perché il Carnevale si pone fra Gennaio e Febbraio. Nel culmine dell’inverno. Quando la terra appare fredda e morta. Ma è un’esplosione improvvisa di allegria feroce, di colori, di voci. Di luci. Invoca, o meglio evoca la rinascita.
Arlecchino interrompe il suo triste vagare negli inferi, alla guida di una cupa schiera. E scende sulla terra. A divertirsi. A lanciare i suoi lazzi, che la tradizione comica voleva osceni. A tessere tremende beffe. A burlarsi di noi. Delle nostre inconsistenti e assurde paure.
Salta, balla, fa capriole e piroette. Talvolta, con la coda dell’occhio, ci sembra quasi di vederlo. Forse è solo una morgana di luci riflesse nella brina all’aurora. Eppure, ci sembra davvero di intravedere il suo costume dai colori cangianti.
Arlecchino rappresenta la metamorfosi. In atto nella Natura. Il continuo mutamento, in un ciclo di vita, morte. Rinascita.
Demone inquieto, ma tutto sommato, simpatico. Può spaventare i pavidi. Ma strappa un riso ai bambini che, come diceva Buzzati, hanno ancora gli occhi per vedere oltre la parvenza. Oltre al velo di pregiudizi e superstizioni che rende ciechi gli adulti…
Altri, purtroppo, sono gli arlecchini dei nostri giorni. Quelli che tutti vediamo, anche se facciamo finta di niente. Saltimbanchi anche loro. E trasformisti. E che non solo portano la maschera, ma la impongono agli altri. Una maschera priva di allegria. Una maschera che esprime solo meschinità e paura…