Sarà, come troppo spesso in Italia, la magistratura a stabilire quali tute indosseranno gli atleti italiani dello sci tra pochi mesi in Coppa del Mondo. Il confronto/scontro tra Kappa (BasicNet) e Armani è infatti finito in mano ai giudici a causa della confusione dei vertici dello sport azzurro.
Le due aziende italiane, in fondo, sono le vittime dei pasticci dei dirigenti dello sci. Perché da un lato Kappa rischia di ritrovarsi con materiale già prodotto e non più utilizzabile dalla nazionale, dall’altro Armani rischia di ritrovarsi a dover gestire un ritardo nell’avvio della produzione. E si tratta di capi tecnici, quelli destinati a gare, ad allenamenti. Non è un problema delle divise ufficiali, spesso davvero bruttine e non soltanto nello sci e negli sport invernali in genere.
Uno scontro tipicamente italiano, soprattutto quando si avvicinano gli appuntamenti internazionali di prestigio. Perché, in vista delle Olimpiadi invernali di Cortina e Milano del 2026, le gare di Coppa del mondo di quest’anno e degli inverni successivi rappresentano una vetrina importante. Una vetrina che si inserisce in un periodo non facile per lo sci. Prima la disastrosa gestione del Covid, poi la demenziale gestione dei prezzi dei biglietti giornalieri e degli abbonamenti stagionali in alcune località di montagna. Ed ora la guerra che, grazie alla nuova manifestazione di imbecillità sul fronte delle sanzioni, ha provocato un aumento dei prezzi in ogni ambito.
Così lo sci è diventato sempre più uno sport per ricchi e tutti si sono lanciati per conquistare una quota di mercato sempre più piccola ma sempre più ricca. Lo si nota anche nel marketing. La pubblicità “classica” si riduce e si punta su sponsorizzazioni mirate. Con la difficoltà di individuare testimonial credibili e seguiti visto che, quando ci sono, è sufficiente una battuta spiritosa ma politicamente scorretta per scatenare le polemiche di chi era assente quando hanno distribuito ironia ed autoironia.
Ed allora è sufficiente una diversa interpretazione di un cavillo in un contratto per scatenare guerre commerciali che finiscono in tribunale. In teoria la scelta del materiale per gli atleti dovrebbe essere una questione tecnica, legata alle prestazioni di un capo, di una tuta. Ma questo succedeva quando si poteva ancora parlare di sport e non di affari.