Com’è tristemente noto, un professore è stato decapitato in Francia per avere tenuto una lezione sulla libertà di espressione mostrando le vignette di Charlie Hebdo, il periodico satirico oggetto di un feroce attentato da parte di terroristi islamici nel 2015. Samuel Paty ha così dimostrato, a carissimo prezzo, di essere un insegnante nel vero senso del termine, poiché questo argomento didattico era evidentemente a rischio, considerati la presenza in classe di diversi studenti musulmani e i campanelli d’allarme in merito alla memoria dell’attentato già suonati qualche settimana fa, quando due persone erano state ferite a colpi di mannaia davanti all’ex sede della redazione.
E si è comportato anche da martire nel vero senso del termine, cioè quello di testimone dei valori occidentali di rifiuto dell’integralismo e dell’intolleranza, di libertà nel senso migliore del termine, e dei nostri valori religiosi: l’amore cristiano per il bello, per l’arte e la cultura come espressione divina, che molta parte dell’Islam invece rifiuta in nome dell’iconoclastia e dell’interpretazione coranica più letterale, e la consapevolezza dell’imperfezione umana come principio di solidarietà umana, un realismo proiettato in dimensione escatologica e soteriologica, che non deve realizzare il paradiso in terra.
Il professore era in sostanza un interprete di quell’atteggiamento fondante del nostro sistema di pensiero e sociale che si chiama laicità: una conquista che abbiamo raggiunto con fatica ma oggi irrinunciabile, che non si oppone alla fede ma la colloca in un ambito distinto da quello del potere umano.
Scrivevamo queste righe, precisiamo, prima che il premier Hollande le confermasse con la sua dichiarazione: “Sulla laicità non cederemo”. La laicità è cosa ben diversa dal laicismo, cioè dal rigetto di qualunque affidamento a valori superiori, oltre che essere contrapposta al clericalismo di cui è purtroppo permeata molta parte della nostra cultura, alla vocazione assembleare e collettivistica, alla contrapposizione manichea, all’ottusa e miope convinzione che esista un bene da contrapporre al male anziché 50 mila sfumature di grigio. Ci associamo pertanto all’auspicio di molti perché il Papa pronunci parole chiare di omaggio a Samuel Paty, oltre che di scontata condanna del suo assassinio.
La laicità è adiacente alla visione liberale dell’individuo come perno della società, prima ancora della famiglia, dello Stato o di altre istituzioni. Anche questo concetto va distinto dall’esasperazione liberista, che lo interpreta in senso materialistico, così come da quella libertina, che tende a infrangere qualunque vincolo morale.
Nella sua accezione più pura e autentica, il liberalismo affonda e interseca le proprie radici con quelle di molte esperienze cristiane, dall’anacoretismo al luteranesimo, dal rinascimento agli ordini e ai santi sociali.
I riflessi di certi valori non si colgono ovviamente solo nel pensiero e nella storia europea, né occidentale in senso stretto: li si può rinvenire in diversi aspetti delle società e delle culture orientali, per esempio nello sviluppo moderno del Giappone e della Cina. Se oggi accadono cose incredibili solo pochi anni fa, come italiani che lavorano in negozi di proprietà cinese, è perché questa comunità ha cercato di evitare ogni contrapposizione culturale con il nostro paese, interessandosi solo della propria affermazione economica. Una forma di pragmatico imperialismo dall’interno e bottom up che, in una manovra a tenaglia con quello centralistico e top down diretto da Pechino, sta rendendo questo paese il prossimo, futuro padrone del mondo, sottraendo lo scettro agli Usa.
È altamente indicativo che il brutale omicidio del professore sia avvenuto in Francia, nonostante tutto ancora un paese laico, erede della Rivoluzione e dei suoi principi di “Liberté, egalité, fraternité”, un tempo comprensibilmente scherniti con l’aggiunta di “decapité”, a sottolineare la profonda contraddittorietà del pensiero e dell’azione giacobini. Ma tutta la storia umana è segnata da contraddizioni e tradimenti, come quelli perpetrati verso questi tre principi, che hanno dato origine ad altrettanti regimi diversi e contrapposti, profondamente imperfetti proprio perché mancanti degli altri due valori: la libertà alle democrazie, la fraternità ai fascismi, l’uguaglianza ai socialismi (usiamo questi sostantivi, sia chiaro, con molta elasticità).
Oggigiorno, di fronte a un nemico palese e pericoloso come l’integralismo islamico, per il quale l’espressione barbarie è pienamente adeguata nell’accezione di “altri da noi”, questa triade valoriale andrebbe recuperata non imponendo una dea ragione ma proponendo una più pragmatica ragionevolezza. Rifiutando quindi i manicheismi e i clericalismi che in Italia – ma anche negli Usa, nel paese leader dell’Occidente da ormai molti decenni – portano a ideologizzare ogni questione bisognosa di essere affrontata con decisione e concretezza: sono questi i Lumi di cui abbiamo bisogno.
In tal senso una riflessione sulla storia francese può essere utile, e anche un’occhiata sull’attualità. Nonostante tutto, Parigi gode ancora di una libertà intellettuale invidiabile, oltralpe vantano intellettuali come Michel Houllebecq, Emmanuel Carrère, Alain Finkielkraut, ma anche attori come Gerard Depardieu, Alain Delon e Brigitte Bardot, le cui voci sono tra le più ascoltate e decise contro l’omologazione buonista.
Situazione ben diversa si presenta in Italia che, ribadiamo, continua a importare dagli Usa il politically correct, nonostante che in madrepatria i danni di questo sistema siano ormai evidenti. Per fare solo un esempio: Donald Trump è un personaggio caricaturale, ma nel momento in cui promette di difendere Cristoforo Colombo, uno dei simboli nel mirino della cancel culture e del movimento iconoclasta nato sull’onda delle proteste contro il razzismo, non c’è dubbio sulla parte da cui stare.
La decapitazione del professor Paty è, nell’aberrante logica integralista musulmana, un atto coerente per chiarire come in questa barbara visione l’uso della propria testa sia inconcepibile. Se noi non rischiamo molto è perché all’esercizio del libero pensiero abbiamo già rinunciato, volontariamente.