Sir Kenneth Branagh ritorna a un anno dalla sua ultima pellicola al cinema, dirigendo e interpretando nel ruolo di protagonista la sua terza pellicola (dopo Assassinio sull’Orient Express del 2017 e Assassinio sul Nilo nel 2022) dedicata al celebre detective belga generato dalla penna di Agatha Christie: il baffuto Hercule Poirot.
A differenza dei primi due film, trasposizioni di opere riproposte sul grande e piccolo schermo in numerose occasioni nel corso dei decenni, Branagh ha deciso per questo terzo capitolo del suo Poirot di deviare dalle storie più famose del personaggio per focalizzarsi sulla libera reinterpretazione di uno dei romanzi meno considerati della serie dedicata al famoso investigatore, intitolato in italiano “Poirot e la Strage degli Innocenti” (Hallowe’en Party nell’originale inglese).
Il regista e attore ha deciso di infatti di abbandonare alcuni elementi del romanzo originale per potersi sbizzarrire nella narrazione di un mystery dagli elementi horror gotici, che riprende solamente il canovaccio della storia della Christie, riambientandone l’intricato mistero in uno splendido e inquietante palazzo veneziano, tre anni dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale.
Troviamo tra le strade della serenissima un Poirot profondamente amareggiato dalla direzione presa dall’umanità, disgustato dagli orrori della guerra e deciso a ritirarsi dal triste mestiere di investigatore, fino a quando la scrittrice e amica di vecchia data del belga, Ariadne Oliver (interpretata da Tina Fey) non lo invita a un party a casa dell’ex cantante lirica Rowena Drake per assistere ad una seduta spiritica guidata dalla medium Joyce Reynolds (il recente premio Oscar Michelle Yeoh).
La morte della Reynolds dopo la seduta spiritica e il tentato omicidio di Poirot, portano il detective a sbarrare i cancelli della villa e a dare il via alle indagini per venire a capo di un mistero dalle tinte soprannaturali in cui più di un elemento sembra non quadrare nella mente del brillante investigatore che si ritroverà riluttante (ma non troppo) a dover dipanare nuovamente un’intricata matassa di inganni, bugie e morte.
Branagh alla sua terza interpretazione del famoso personaggio della Christie, sembra essere ormai perfettamente a suo agio nella parte di Poirot e, come di consueto, ha deciso di radunare attorno a sé un cast di supporto stellare per il suo personaggio protagonista: dalle sopracitate Tina Fey (qui in uno dei suoi rarissimi ruoli drammatici), Michelle Yeoh, Jamie Dorman e il nostro connazionale Riccardo Scamarcio qui nella parte della temibile guardia del corpo del detective, Vitale Portfoglio.
La regia di Branagh punta come al solito tutto sullo stile a ogni costo: serrata, barocca e moderna, il suo non è il pacato Poirot della BBC o un noioso e imbolsito giallo a porte chiuse degli albori, bensì una reinterpretazione moderna del personaggio che vuole venire incontro alla sensibilità di un pubblico contemporaneo interessato ad un intrattenimento eccitante e dai ritmi forsennati che potrebbe incontrare anche il gusto dei non amanti del genere.
L’elemento horror soprannaturale della storia è ben inserito e Branagh riprende le lezioni di Friedkin e del suo Esorcista, seppur senza raggiungere i livelli di terrore del suo maestro, limitandosi a utilizzare l’orrore come elemento per esaltare la tensione delle indagini e regalare così al pubblico momenti di incertezza e angoscia. La bellissima villa veneziana che fa da ambientazione principale alla storia regala un’atmosfera opprimente e oscura che esalta alla perfezione i temi e gli elementi gotici della narrazione.
La pellicola, per quanto solida, non è però esente da problemi, in particolare nel comparto personaggi dove è palesemente il Poirot di Branagh a farla da padrone, con un lavoro sul personaggio eccezionale che però fa notare come si sarebbe potuto lavorare di più sull’approfondimento psicologico dei personaggi di contorno della storia, che nella tradizione del giallo classico, finiscono per diventare un po’ delle figurine appena abbozzate accanto al protagonista assoluto di questo mystery.
La cosa potrebbe lasciare un po’ l’amaro in bocca agli amanti del character development che avrebbero voluto vedere il celebre detective belga circondato da personaggi altrettanto tridimensionali e invece si ritroveranno ad avere a che fare con personaggi dai tratti sì interessanti ma intrinsecamente superficiali e non particolarmente memorabili.
In conclusione possiamo tranquillamente affermare come Assassinio a Venezia sia un film solidissimo, dalle premesse ottime e dallo sviluppo competente, interessante e ricco di stile che non si limita a riproporre pedissequamente il materiale originale della Christie facendo il compitino, ma rielaborandolo sotto un’altra lente per dare una prospettiva nuova e un tono più disturbante e “gotico” al suo lavoro. Un netto passo avanti rispetto ai precedenti due capitoli e una direzione approvabile in toto che lascia grandi speranze per un futuro quarto capitolo.