Parliamoci chiaro. La realtà – o meglio quella che siamo usi considerare tale e nella quale siamo, ci piaccia o meno, immersi – è, per lo più, soffocante. Oppressiva. Ci toglie l’aria. Ci angoscia. Non ci dà tregua. Con ben poche eccezioni. Privilegiati, che (forse) possono condurre esistenze che per gli altri restano solo sogno… Forse, perché, poi, le cose bisognerebbe sempre vederle dall’interno…
Comunque, più la realtà si fa massiva e oppressiva, più si cerca di evadere con la mente. Di distrarsi, come si usa dire. E allora si insegue il mito delle vacanze, dei viaggi, delle serate, happy hours come si dice oggi, feste, discoteche et cetera…. Di tutto di più. Pur di non pensare. Pur di dimenticare, per frammenti di tempo, l’esistenza quotidiana. E il suo, oppressivo, grigiore.
Ma serve a ben poco. La realtà, la banalità se ne resta acquattata per qualche tempo. In un angolo oscuro della nostra coscienza. O meglio, del nostro inconscio. E, improvvisa, balza fuori dalla selva, e ti sbrana. Come una tigre. O, più esattamente, come un branco di jene.
Più che di distrarci, dovremmo essere capaci di… astrarci. Di ricorrere all’astrazione, che non è cercare un momentaneo oblio. Dimenticare per un poco problemi e assilli. Rifugiarci in un paradiso artificiale, aiutati o meno da alcool ed altre sostanze.
Astrazione, manco a dirlo, è parola di origine latina. Ma la cerchereste invano in Cicerone e Tacito. Perché “abstractio” è latino medioevale. E può essere interpretata in due modi, solo in apparenza contraddittori.
Concentrazione profonda. Tanto profonda da dimenticare tutta la realtà circostante, e sprofondare totalmente nell’oggetto, o concetto, su cui ci si concentra.
Oppure pensare in modo da tramutare tutta la, cosiddetta, realtà materiale, in un insieme di forze e/o simboli afferrati con l’intelletto.
Sapienza degli antichi maestri di quella che, impropriamente, viene chiamata età oscura. E che, all’opposto, aveva una luce, e una lucidità di cui oggi avremmo un grande bisogno. E della quale non vi è più traccia. O quasi.
Astrarsi, significa sollevarsi dal livello di coscienza ordinaria, immersa, anzi sommersa dalla massiva pressione del mondo circostante. Librarsi in più spirabil aere, per dirla con Dante. Ma non dimenticare il mondo. Anzi… contemplarlo dall’alto. Con distacco. Leggendo sensazioni e emozioni prima che queste giungano a travolgerti. Allora il Mondo si squaderna davanti a te come un grande, immenso libro. E tu ne puoi decifrare le lettere. I segni. E come tutti e libri ti può emozionare, far pensare, donare sentimenti. Tuttavia resta altro da te. E puoi, a tuo piacimento, chiuderlo quel libro. E tornare a concentrarti su te stesso.
Non è una forma di egoismo o, peggio ancora, di apatia. È, piuttosto, qualcosa di simile alla tecnica dell’Haiku giapponese. La brevissima poesia formata di soli tre versi, di cinque, sette, cinque sillabe. Arte difficilissima. Non soltanto perché si deve dire tutto con un impiego ridotto all’osso di parole. Ed evocare, con tale scarnificazione del linguaggio, immagini e emozioni. Ancor più ardua perché, per riuscirvi, occorre bloccare ogni percezione ogni sensazione sulla soglia della coscienza. Bloccarla prima che invada la nostra coscienza. Prima che prenda possesso dinoi. E contemplarla. Che può essere cosa solo di un attimo. Una folgorazione. Esattamente come il “m’illumino d’immenso” di Ungaretti. Che tale tecnica aveva ben studiato, a Parigi, con il suo amico Apollinaire.
I grandi maestri dell’Haiku – Buson Kobayashi Issa, soprattutto Bashō – insegnano proprio questa capacità di astrarsi dal mondo. Di chiamarsi fuori, ma non per evadere. Per dimenticare. All’opposto, per meglio vedere – e vedere significa conoscere – ciò in cui ordinariamente siamo immersi.
È come un grande fiume. Finché vi sei dentro, immerso, addirittura sommerso, non vedi gli argini, né la direzione della corrente. Né puoi cogliere la bellezza delle ninfee e degli alberi, salici ed altri , che li circondano.
Ma se riesci ad issarti, con uno sforzo di reni, sulla riva, tutto ti appare diverso. Tutto ti si rivela nella sua, compiuta, bellezza. E non hai più l’impulso a distrarti. A fuggire…