È un mese strano, Febbraio. Inverno,ancora. E inverno profondo. Almeno qui, l’aria gelida, meno sei gradi al mattino. E il vento. Che ti fa sentire ancora più freddo, e passa anche il piumino, e ti entra nelle ossa come un brivido, mentre cammini nelle vie deserte del borgo. In fondo, è il mese delle febbri.. Quando ci si ammala più facilmente. E i Romani antichi invocavano, appunto, Febris. Nume presente, lo chiama il Carducci. Dio o Dea, non sapevano. E non importava. Proteggeva. E purificava. Come la febbre terzana che potevi prenderti in questo scorcio invernale…. che purificava l’organismo. Se non ti ammazzava, naturalmente. Ma, appunto, questo veniva allora considerato nell’ordine naturale delle cose. Perché la morte era un rischio implicitio del vivere. Che veniva accettato come tale. Senza tante storie. E senza troppe paure.
Però, a Febbraio, le ore di luce si sono ormai prolungate. La cupezza di gennaio si allontana. L’aurora ti sorprende ogni giorno qualche minuto prima. Ed è un’aurora splendente. Una luminosità d’oro rosato, che scintilla nell’aria tersa e cristallina. E qui, sulle montagne circostanti, si espande dalle cime ai declivi ancora innevati.
E nel meriggio, in certi meriggi sereni, avverti un tepore, e un profumo, che evoca già l’immagine di Primavera.
Ingannevole. Ché la neve ê sempre in agguato, e il cielo può, come ora, farsi oscuro e greve. E cominciare a fioccare.
Febbraio è un mese strano. In cui cadono, e si intrecciano feste tutte particolari. Feste che non rientrano se non forzatamente nel Calendario usuale. Sia civile che religioso. Per la Chiesa Cattolica è “tempo ordinario”. Ma cosa mai vi può essere di ordinario nella folle sarabanda del Carnevale? O nell’eros di San Valentino?
Perché puoi tentare di normalizzarla quanto vuoi, con il nome del buon Vescovo di Terni, protettore dell’amore fra fidanzati, ma dietro la parvenza ormai commerciale, il ricordo dei fumetti di Charlie Brown, le scatole dei cioccolatini e i fiori, e altre americanate, si avverte ancora il suono degli scudisci dei Luperculi. E il loro ululare.
14 Febbraio. Lupercalia. Festa di purificazione, certo. Che era, però, anche sfrenata corsa. Ed orgia sacra. Perché invocava la potenza vivificatrice dell’eros. Della vita, che tornava a risvegliarsi dalla tomba invernale.
E anche questa, in fondo, è febbre.
“Una fiamma sottile si diffonde in tutti gli arti…” dice Catullo, riprendendo Saffo. E fissando la fenomenologia dell’innamoramento che ritroviamo in tutta la letteratura occidentale. In Dante, e, soorattutto, nel Cavalcanti di “Voi che per gli occhi mi passaste il core”. E nello Shakespeare dei Sonetti come in Ronsard. Fino al Goethe che canta i tardivi, ma non meno ardenti, fuochi della Elegia di Marienbad. E ancora nelle liriche di Neruda, che non amo come poeta politico. Ma che fu un gigante nel cantare l’eros.
Dunque, è Febbraio. Sento le campane della Chiesa francescana suonare. È sera. Compieta. Dicono che stanotte nevicherà. Il vento è gelido. Ulula… come un branco di lupi.