Lo Statista dell’anno è volato a New York. Non se ne è accorto nessuno. Anche perché quegli ignoranti degli americani, e dei media mondiali, non sanno che, lui e solo lui, è lo Statista dell’Anno. Perché non leggono la stampa italiana, non guardano RAI, Mediaset, La7….e quindi restano in una, proterva e colpevole, ignoranza.
Comunque, lo Statista dell’anno è volato a New York. E gli hanno anche dato un premio. Le immagini – diffuse a reti unificate, roba da fare schiattare di invidia l’Istituto Luce di (in)fausta memoria – lo immortalano felice, con il suo sorriso da iguana delle Galapagos, mentre riceve una statuetta che rappresenta…già, cosa rappresenta?
Sarà colpa degli anni, gli occhi, haimè, non sono più quelli di una volta…ma a me sembra la rappresentazione di un… caprone. Non molto dissimile dalla, elegante, spilletta che porta sempre una Gran Dama d’Europa ormai su tailleur rigorosamente gialli e blù. Forse perché tifosa del Parma…
Comunque non fatevi prendere da fantasie da complottisti e terrappiattisti. Il Premio, il Caprone, non ha sicuramente nulla a che vedere con sette diaboliche, sabbah, rettiliani che dominano, occultamente, il mondo, i romanzi di Howard e gli incubi di Lovecraft…
Con ogni probabilità è, invece, raffinata allusione al fatto che i nostri politici sono delle capre. Vittorio Sgarbi docet. E quindi, il Grande Statista dell’anno non può essere che un Caprone.
Però, come dicevo, fuori dal nostro paese di questo viaggio, e di cotanti allori, ben pochi si sono accorti. Come ben pochi, anzi ancora meno, si sono accorti che, a giorni, in Italia si vota. Che è una notizia. Perché rischiamo di avere un capo del governo eletto democraticamente. Cosa che da alcuni lustri si è fatto di tutto per evitare. Devo dire con successo. Perché avrebbe comportato una pericolosa deriva populista. Con il pericolo che saltasse fuori qualcuno magari capace di fare una politica un pochino diversa, che so, sulla gestione del Covid, sulle relazioni internazionali, sulle tasse, sul lavoro…
Pericolo che, però, oggi sembra svanito. Visto che tutti i partiti, e tutti coloro che ambiscono a Palazzo Chigi, non perdono occasione per giurare sulla, famosa, Agenda del Grande Statista. Che ha, ormai, sostituito la Bibbia. Con la differenza, però, che la Bibbia…esiste.
Comunque, nessuno, fuori dai nostri patrii confini, ha prestato attenzione né al viaggio del Grande Statista, né alle, imminenti, elezioni. Per altro la cosa è facile da spiegare. Troppo distratto, il mondo, dai funerali della Regina Elisabetta. Troppo impegnati, tutti, a commentare l’espressione di Camilla, la spilla sulla giacca di Meghan, la pettinatura di Andrew…
Tanto che sono passate in secondo piano quisquilie e pinzillacchere come l’esploderere della guerra tra Tajikistan e Kirghizistan, la tensione tra Moldavia e Transnistria, con mobilitazione di forze NATO, la minaccia, sempre più concreta, di un conflitto tra Pechino e Taiwan. Senza dimenticare, ovviamente, la questione Ucraina…
Il Grande Statista, tuttavia, ha parlato all’assemblea generale dell’ONU. Oddio, più che altro ha parlato all’aula dove si riunisce detto consesso. Che, però, era completamente vuota. Le nostre reti televisive si sono guardate bene da farlo vedere, ma in altri canali la panoramica era inoppugnabile. Vuota. Deserta. Un’aula sorda e grigia. Ma Lui ha parlato comunque. Probabilmente per i posteri. E certo nei libri di storia del futuro il suo discorso avrà lo spazio che merita.
A differenza di quello che Putin ha tenuto mercoledì mattina alla televisione russa. Dove ha annunciato la mobilitazione generale, la prima dalla fine della II Guerra mondiale. E, di fatto, proclamato lo stato di guerra. Con tutto ciò che comporta e ne consegue.
Robetta al confronto del discorso del Grande Statista. Che ha detto…già, che mai avrà detto alle sedie vuote dei rappresentanti dell’ONU?
Nessuno lo sa. Nessuno lo ha ascoltato.
Ma siamo certi che è stato un discorso… Epocale.