Mattino di autunno. Di vero autunno. Come quelli di un tempo, quando ero ragazzo, nelle mie terre, più fredde e piovose. Qui, in genere, Ottobre scorre via torpido e lento, come una, estenuata, coda dell’estate. Ottobrate, le chiamano. O meglio le chiamavano. Perché, come dice qualche vecchio, ” non ci sono più le Ottobrate di una volta…”.
E infatti oggi piove sin da prima dell’alba. Una di quelle piogge fini, sottili, insistenti, che nulla hanno a che spartire con le grosse gocce tiepide degli acquazzoni di fine estate… questa è pioggia vera, diaccia e umida. Quella che ti entra in corpo e ti raggela e indolenzisce muscoli e scheletro. Quella che forma pozze intorno ai tombini. Pozze che diventeranno acquitrini opachi e sporchi, ché le foglie secche hanno otturato gli scarichi. E, naturalmente, passato il voto, nessuno si preoccupa della manutenzione. Storie ordinarie, di tutti i giorni…
Fa freddo, tutto sommato. Ho dovuto pescare nel caos del mio armadio un pullover di lana. Il primo della stagione. Vecchio. Ma caldo. E, poi… mi piace… E mio figlio, prima di andare a scuola, si è infilato due felpe. E tirato su il cappuccio sui capelli arruffati.
Il traffico è nel caos, ovviamente. Lo è sempre, ma quando piove rasenta il delirio. I genitori cercano di entrare con l’auto sin nell’atrio delle scuole. Le nuove generazioni, evidentemente, sono idrosolubili. Non possono prender due gocce d’acqua altrimenti rischiano di dissolversi come statue di sabbia. I tempi in cui si andava a scuola sotto la pioggia, con mantellina e galosce, sono ormai remoti. Ed era uno spasso saltare nelle pozzanghere, tornando a casa, poi, tutti inzaccherati, tra le urla di madri inferocite. Certo, spesso così facendo, ci si beccava un raffreddore. O, talvolta, anche un febbrone stagionale. Che allora, appunto, si chiamava febbre, non con strane sigle alfanumeriche. E si curava al massimo, con un paio di giorni di letto, a sudare. Brodo leggero di verdure. E, se proprio la febbre diventava terzana, un’aspirina. Ma se la temperatura non saliva, si continuava ad andare a scuola, pioggia o non pioggia, vento o non vento. E ci si soffiava il naso con grandi fazzoletti di tela grezza, che, a casa, venivano lavati, profumati e stirati a dovere. E nessuno si sognava di infilarti uno stecco nel naso, o di importi una maschera per tema del contagio… e tantomeno di segregarti, isolato, in casa. Allora, però, c’era anche il medico condotto. Figura mitologica, più di un centauro ormai. Dicono le leggende che venisse addirittura a visitare i malati a casa…
Va bene…qualcuno dirà che, alla fine, sempre lì vado a parare, a fare polemica. E, invece, non era proprio mia intenzione. Anzi…oggi, questa pioggia mi ha messo di buon umore. Per lo meno lo sono ora, a casa, tranquillo, a guardare che ruscella dalle grondaie, che scintilla di una strana luce grigia sulle foglie verde cupo della magnolia. Che bagna l’asfalto e lo rende di color bitume, lavando via almeno una parte dell’ordinaria lordura…
Certo, prima, per strada, mi sentivo molto meno a mio agio. La sahariana con cappuccio stentava a frenare il vento di tramontana. E, anche se garantita come impermeabile, si era presto inzuppata. Tanto da farmi provare la nostalgia dei vecchi impermeabili, quelli stile “Tenente Colombo”, stinti e stazzonati, ma che dalla pioggia e dal vento ti proteggevano davvero… Però, disagi a parte, ero comunque contento. Mi piace camminare sotto la pioggia. E detesto portarmi dietro l’ombrello. Scomodo e destinato ad andare dimenticato in un qualche bar, in metropolitana, in un negozio… E poi, appunto, io sono troppo antico per essere idrosolubile. E non dico che mi sono messo a ballare, mica sono Gene Kelly, ma me ne sono venuto a casa tutto sommato soddisfatto. Ridacchiando, fra me e me, dei tanti (troppi) che insistono pervicaci a girare mascherati. E che si ritrovano a dover combattere con una pezza sporca e fradicia che gli si incolla a naso e bocca. E che, palesemente, cerca di soffocarli… E così, mi sono messo a canticchiare. E proprio il motivetto di “Singing in the rain”, anche se delle parole ho una memoria molto approssimativa.
Un paio di signore, bardate con guanti, maschere e visiera – manco fossero incursori della “Teseo Tesei” in missione – mi hanno guardato tra l’esterefatto e la riprovazione. Fradicio di pioggia, che canticchiavo tutto allegro. Senza mascherina…
Ho un solo rimpianto. Di non aver avuto, in quel momento, un ombrello con me. Per imitare proprio il famoso, e frenetico, balletto di Gene Kelly….ma, sicuramente, è meglio così. Con ogni probabilità mi sarei frantumato scivolando…e cadendo rovinosamente a terra..
1 commento
ben scritto, ma non esistono giovani idrosolubili ma nipoti di nonni ultrasettantenni che hanno contribuito a portare in rovina l’Italia, che hanno cresciuto figli nell’imbecillita per mantenere i loro mediocri poteri nelle aziende e nella politica. Adesso le conseguenze le subiscono i giovani che si ritrovano con genitori cretini, dirigenti e politici poco capaci e con un debito pubblico che graverà anche sui loro pronipoti.