Nessuno si occupa dei 10 milioni di bambini e ragazzi italiani chiusi in casa da settimane. Già dal Dpcm dell’11 marzo non era inclusa alcuna attenzione specifica circa la condizione di alcuni minori, se non per confermare la chiusura di scuole e attività educative, avviando così formalmente la didattica a distanza.
Si tratta di una svista molto grave dal momento che in altre deroghe sono state tenute in considerazione categorie specifiche come i padroni di cani e gli amanti dello jogging.
È acceso il dibattito fra i genitori che non fanno uscire i figli ormai da troppe settimane e quelli che reclamano un’uscita all’aria aperta da trascorrere con i propri bambini.
È l’Alleanza per l’Infanzia, un network per sensibilizzare la politica affinché operi le riforme e l’iniziative necessarie per costruire ambienti più favorevoli ai bambini, a lanciare l’allarme soprattuto per quei bambini che già prima dello scoppio dell’epidemia, vivevano in condizioni di grave povertà sociale ed educativa.
Nella corsa alla società digitale, scatenata dal coronavirus, l’Istat ha evidenziato che ad essere penalizzate sono soprattutto le famiglie del Mezzogiorno perché 4 su 10 non hanno un pc o un tablet e dove solo 3 ragazzi su 10 hanno competenze digitali. Nell’Italia del lockdown i bambini non hanno tutte le stesse possibilità di collegarsi a internet per le lezioni a distanza. Il paradosso è che è proprio la scuola ad affidare alla Rete il compito di portare avanti i programmi ormai fermi dal blocco per l’emergenza sanitaria legata al Covid-19. A restare indietro è ancora una volta il Sud o chi non ha una strumentazione informatica adeguata per seguire le lezioni a distanza. Il problema in gergo tecnico si chiama digital divide e non è solo tecnologico, ma anche sociale e culturale. Spesso le lezioni sono divise in orari della giornata diversi per permettere a chi ha più figli di usare a turno il pc: la mattina le superiori e al pomeriggio la scuola primaria.
Le ragioni per cui il divario digitale dovrebbe essere un tema centrale nella politica nazionale sono molteplici. Sia perché colpisce i più deboli e sia perché riguarda un gran numero di attività nel nostro Paese. Non è solo la scuola ad esserne colpita ma anche l’informazione, i rapporti con l’amministrazione, l’acquisto di beni e servizi. In questa emergenza si è scivolati rapidamente dall’analogico al digitale, in una trasformazione di abitudini e competenze da cui un numero alto di italiani (e di bambini) è rimasto almeno in parte escluso.
Da alcune settimane la didattica scolastica si è trasformata, senza nessuno che lo avesse deciso prima, in una questione interamente digitale. A causa dell’emergenza coronavirus, di colpo gli insegnanti si sono visti obbligati, a improvvisi aggiornamenti tecnologici, ad esperimenti didattici sulla pelle dei poveri studenti. Le scuole italiane, in sintesi, sono divise nella loro rete di infrastrutture così come nella rete di competenze di insegnanti e allievi.
Ma tanti sono i temi che ci portano a riflettere; pensiamo a quei bambini che si ritrovano, per l’indigenza della propria famiglia, a vivere in 40 metri quadri, o bambini con genitori che stavano divorziando e si ritrovano a vivere in una conflittuale convivenza forzata. Tanti di loro non potranno avere un’istruzione adeguata perché non possiedono un computer o non hanno il Wi-Fi.
Bambini che sviluppano ansia perché costretti a convivere con genitori violenti o tossicodipendenti. Chi pensa ai bambini dei genitori che lavoravano in “nero” e che si sono ritrovati di colpo senza un euro per comprare da mangiare. Alla lista si aggiungono soprattutto i figli di genitori disabili che si sono ritrovati senza un aiuto esterno.
Ma anche per i bambini più fortunati, con almeno un genitore a casa che ha il tempo di occuparsi di loro, con un computer per poter seguire le lezioni, la reclusione è pesante.
Appare necessario schierarsi dalla parte dei bambini e pretendere in emergenza sanitaria, di istituire un’equipe di esperti che inizino a stabilire come ridurre le conseguenze negative e traumatiche che questa situazione sta generando nei minori.
Quello che manca ai bambini in questo momento sono gli elementi fondamentali dell’infanzia: le nuove esperienze, l’attività fisica e le relazioni. È proprio in quest’ottica che i coordinatori di Allenza per l’Infanzia suggeriscono di guardare alla fase successiva alla crisi con una programmazione che tenga conto delle necessità di bambini e ragazzi.
I genitori stanno sperimentando le difficoltà delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria. Le forti difficoltà a fronteggiare contemporaneamente le esigenze dello Smart Working con quelle di cura e supervisione delle attività di studio dei propri figli. Per alcune famiglie queste condizioni si aggravano con la povertà economica, pregressa o generata dalla crisi sanitaria. Questa emergenza ha fatto emergere maggiormente le diseguaglianze economiche ed educative.
Proprio nella fase 2 è richiesta la collaborazione tra i diversi ambiti di intervento tra istituzioni pubbliche e di terzo settore a livello locale. Nel momento in cui ragazzi perdono il contatto con l’ente formativo per eccellenza, che è la scuola, andrebbero sostenute e valorizzate attività di animazione culturale e sociale.
La crisi sanitaria va considerata anche come uno stress test sul sistema di walfare italiano, che ha fatto emergere con urgenza un fragile sistema educativo. Per non accentuare le disuguaglianze è necessario non solo rispondere all’emergenza, ma prefigurare importanti cambiamenti strutturali del sistema dei servizi educativi.
Come sottolinea Alleanza per l’Infanzia, è necessario che il MIUR (Ministero dell’Istruzione, delle Università e della Ricerca) lanci un sistema informativo sia tramite piattaforma online che tramite canali televisivi dedicati fra quelli digitali. L’obiettivo è quello di sostenere le famiglie nelle funzioni educative. La televisione pubblica potrebbe ovviare in parte, a vantaggio di chi non ha accesso alla didattica online (secondo un indagine del MIUR il 6 percento della popolazione scolastica) . Questo assume particolare importanza dove la crisi socio-economica è maggiore e le infrastrutture tecnologiche e sociali sono più deboli.
Questo lungo periodo di lockdown ha fatto emergere la carenza di misure di conciliazione famiglia e lavoro: è auspicabile un forte sostegno alla genitorialità.
In attesa della progressiva ripresa delle attività economiche, ci auguriamo che questa lezione della didattica a distanza e del disinteresse dei bambini nelle prima fase, possa in futuro servire da lezione per colmare le esigenze di attività fisica dei bambini e far scomparire le diseguaglianze. Il divario digitale non dovrà rappresentare una zavorra per nessuno.
1 commento
Nonostante le conversazioni per i diritti dell’infanzia dei bambini non importa a nessuno mai veramente, se non nel modo in cui la società liberista tratta tutti, ovvero come merce. La quarantena ha messo in condizione famiglie disagiate, conflittuali, semplicemente povere di esporsi all’abuso dei servizi, di pregiudicare ulteriormente le situazioni, di far vivere ai bambini traumi o maltrattamenti, primo fra tutti la soppressione della gioia di vivere chiusi in 2 mq. Ha fatto esplodere conflitti familiari che ben avrebbero potuto comporsi per problemi di lavoro, di fame, ha fatto mancare l’aria allo spirito, ha isolato i bimbi nei giochi, li ha fatti oggetto solo di divieti, e prima o poi a livello psichico sclerano tutti :è una violenza in nome della “pretesa protezione”. Quindi si sono costretti bambini a 4 ore di lezione al PC che non solo non servono a nulla perché nulla imparano ma che generano altro nervosismo e deficit di attenzione. Chi poi non ha il PC non ha nemmeno fatto lezione. E questo confermano i veterinari è stato anche il periodo degli abbandoni e dei mattatamenti di animali. È un Paese finito, squallido, in progressivo peggioramento. Ieri in TV c’era Blade Runner 2043 …ci stanno riducendo a una società di replicanti per il benessere di pochi? Alla lunga si estingueranno anche loro.