Un nuovo scandalo colpisce gli istituti bancari, accusati negli ultimi vent’anni di avere gestito somme illecite. Da una ricerca realizzata dall’International Consortium of Investigative Journalists (Icij) è emerso che le più grandi banche del mondo “hanno permesso ai criminali di riciclare denaro sporco”: un fiume di denaro sporco, somme astronomiche di soldi passate per anni attraverso le più grandi istituzioni bancarie internazionali. Dalla ricerca emerge che queste banche avrebbero accettato come clienti mafiosi, criminali e truffatori per un importo totale di due miliardi di dollari USA. Il giornalismo investigativo fa bene all’economia legale. A tre anni dal lancio di Panama Papers, la più importante inchiesta giornalistica globale sui paradisi fiscali offshore – vincitrice del premio Pulitzer – sono stati recuperati 1,28 miliardi di dollari da 23 governi, sparsi in tutto il mondo.
È stato BuzzFeed News, un sito di notizie statunitense, a mettere in luce che risultano oltre 2.100 segnalazioni di attività sospette per un totale di oltre 2 trilioni di dollari. Questo materiale, e più di 17.600 altri documenti ottenuti dall’Icij, fanno capire che, presumibilmente, i vertici bancari fossero al corrente che i truffatori spostassero denaro tra i conti e sapevano che quei fondi erano stati generati o utilizzati in modo criminale. Anche alcuni oligarchi russi pare abbiano usato le banche per evitare le sanzioni che, invece, avrebbero dovuto impedir loro di portare i soldi in Occidente.
L’investigazione si concentra su cinque grandi banche (JPMorgan Chase, HSBC, Standard Chartered, Deutsche Bank e Bank of New York Mellon) accusate di transazioni di beni di presunti criminali, anche dopo che sono stati perseguiti o condannati per reati finanziari. L’indagine si basa su migliaia di “segnalazioni di attività sospette” inviate dalle banche di tutto il mondo alla FinCen, la polizia finanziaria del dipartimento al tesoro degli Stati Uniti. Tutto questo mette in luce la debolezza delle tutele bancarie e la facilità con cui i criminali li utilizzano.
Le isole nell’Oceano Indiano, oltre che per le loro bellezze naturali, si presentano come punto di smistamento, «gateway», per le società finanziarie verso i Paesi in via di sviluppo. Basse aliquote fiscali e, soprattutto, un insieme di trattati, con 46 paesi africani, per lo più poveri. Gli accordi, spinti negli anni ’90, durante la corsa agli aiuti economici in Africa, si sono rivelati, in realtà, un vantaggio per le società occidentali, i loro consulenti legali finanziari e le stesse isole Mauritius.
Il lavoro del network, International Consortium of Investigative Journalists, è ancora più ampio, costituito da oltre 400 giornalisti di 80 nazioni. Sono coloro che tutti insieme, il 3 aprile 2016 hanno svelato all’opinione pubblica internazionale i dati dello studio legale Mossack Fonseka di Panama City, risalenti a ben 214 mila conti offshore. Da qui le inchieste italiane partite verso 13 nazioni.
Le comunicazioni riguardanti le transazioni tra il 1999 e il 2017 sono trapelate dal Financial Crimes Investigation Network (FinCEN) degli Stati Uniti, un’agenzia che fa parte del Tesoro degli Stati Uniti e ha il compito di contrastare il riciclaggio di denaro.Tra le organizzazioni criminali citate nei rapporti c’è la Al Zarooni Exchange, che è stata sanzionata dal Tesoro degli Stati Uniti nel 2015 per aver riciclato fondi per i talebani.
Anche se molti economisti non lo accettano, il crimine è una variabile di rilievo nell’economia; l’economia criminale è contro le leggi degli Stati ma non contro quelle dei mercati. La criminalità ha a che fare con l’economia, anche con quella produttiva, e nasconderlo o minimizzarlo sarebbe antistorico e antiscientifico. Infatti, contrariamente ai dettami del pensiero economico dominante, le attività criminali non sono classicamente improduttive, predatorie o parassitarie. E ciò che definiamo economia illegale, non vuol dire che automaticamente non sia sostenuta da uno sforzo imprenditoriale.
Si può fare economia anche fuori o addirittura contro la legge: la classificazione ai fini del Pil di attività monopolizzate da organizzazioni criminali lo ha sancito in maniera inequivocabile. Le mafie fanno parte delle ricchezze mondiali. Nell’epoca dell’economia globalizzata e finanziarizzata è più evidente l’egemonia del potere economico su quello politico e la separazione quasi definitiva dell’economia dal diritto.
Gran parte della finanza illecita o criminale è stata finora protetta dal segreto bancario e dall’uso improprio del diritto alla privacy attraverso reti occulte che trasferiscono enormi quantità di denaro in tutti i Paesi dell’economia globale, soprattutto da e verso i cosiddetti “paradisi fiscali”. Nei “paradisi fiscali” ci sono ben 10mila sedi di banche. Sono luoghi a bassa o nulla tassazione in cui è possibile collocare i propri risparmi in condizioni di sicurezza.
Ma le loro funzioni sono molto più ampie. Essi infatti forniscono condizioni di segretezza, la possibilità di eludere la regolamentazione finanziaria (relativa alle società per azioni, alle banche, alla borsa, alle assicurazioni) e di aggirare la normativa di altre giurisdizioni (per esempio in materia di riciclaggio, eredità, divorzio).
Servono a “riciclare o ripulire capitali di dubbia provenienza, a garantire l’anonimato dei titolari, a evitare il pagamento delle imposte, a eludere le normative nazionali, a poter operare in un contesto privo di regole e controlli. Accolgono tutto il denaro senza discriminazione: quello criminale, quello legale e quello mafioso. Un sistema per godere del proprio danaro senza dover essere soggetti a tassazioni.
Dunque, l’industria bancaria e finanziaria rappresenta uno snodo fondamentale per la possibilità che i proventi da evasione fiscale, da corruzione o da attività criminali possano essere riciclate e ripulite. Attraverso le banche si legittima il “denaro sporco” in un universo economico ormai globalizzato.