Colpirne uno per educarne cento. Deve essere questo il sistema adottato a Torino per combattere le bande di giovani delinquenti che imperversano per la città. Da più di un anno si moltiplicavano le denunce per le aggressioni compiute, in pieno centro, da una banda di ragazzini di origine nordafricana che picchiavano e derubavano coetanei, e non solo, senza che le istituzioni si degnassero di intervenire.
Vuoi mica rischiare una polemica per razzismo? Meglio lasciar picchiare e rapinare cittadini italiani, così gli amanti dell’invasione e degli asterischi sono contenti. E pazienza se ci scappa anche una palpata a qualche ragazzina vittima delle aggressioni. Mica si tratta di una giornalista, dunque si arrangi.
Ma ora, con più di un anno di ritardo, un paio di delinquenti sono stati fermati. Così, tanto per dare un segnale. Oddio, non proprio un grande segnale, dal momento che i due, nonostante l’accusa di rapina, sono stati immediatamente affidati alle rispettive famiglie. Che, evidentemente, non avevano garantito proprio il massimo dell’educazione ai propri figli.
Altri 32 giovani sono stati identificati, in attesa delle immancabili “ulteriori indagini”. In questo modo il senso di impunità potrà aumentare, le bande potranno rafforzarsi, moltiplicarsi. Potrebbe persino essere una strategia interessante: se aumentano le aggressioni, le famiglie italiane tenderanno a non far uscire i figli e li costringeranno a stare in casa a studiare invece di andare in giro a bighellonare. E se le bande agiranno a tarda sera ed anche la notte, si eliminerà anche il fastidio della movida.
Tutti a casa, blindati, gli italiani. Chissà se il neo assessore al Commercio del comune di Torino apprezzerà. Chissà se l’assessore regionale Gabusi, così attento al lavoro dei bar del centro in pausa pranzo, si occuperà anche dei locali che campano sugli aperitivi preserali o sulla movida successiva. O se prevarrà il silenzio per non turbare la sensibilità dei rapinatori che ci pagano le pensioni e che rappresentano una grande risorsa.