Le auto marciano sicure, ed invendute, verso la transizione ecologica. Costosissime, con difficoltà di rifornimento per chi non possiede un box, ma la strada è segnata. Però il mondo dei motori non si ferma all’auto, tanto più in un Paese circondato dal mare come l’Italia. Questo non un popolo di navigatori – ancor meno di santi, eroi e poeti – però i costruttori di imbarcazioni non mancano. Occupano migliaia di addetti, contribuiscono in modo significativo al Pil e si attendono, correttamente, di essere inseriti nel piano di trasformazione ecologica che, prima o poi, arriverà.
Per il momento, dovendo attendere i tempi assurdi della politica, ci si limita ad immaginare quale potrà essere il futuro. Che, per alcuni, è già iniziato. Yacht che possono navigare in modalità elettrica ci sono già. A partire da alcune produzioni di nicchia dell’italianissima Azimut Benetti. Dunque si può fare, anche per i giga yacht, barche da oltre 100 metri di lunghezza.

Però, come nel caso delle auto, il problema non è a monte, in fase di produzione, ma a valle (in questo caso “a mare”), per i rifornimenti. Si sta lavorando a batterie di nuova generazione, ma serve tempo. In alternativa si pensa all’impiego dell’idrogeno. Ma, in questa fase, si punta anche ad un miglioramento del diesel, esattamente come avviene per i motori delle auto e come auspicato da Gian Primo Quagliano, presidente del Centro studi Promotor.
In ogni caso servirebbe una indicazione chiara da parte del governo e dell’apposito ministro. Perché i fondi europei dovrebbero essere indirizzati soprattutto al sostegno delle imprese italiane che possono intervenire sul miglioramento ambientale con produzioni ad hoc. Non per regalare soldi pubblici a chi ha preferito collocare la propria sede in Olanda e neppure per comprare prodotti più o meno “verdi” fabbricati in altre parti del mondo.