La parola che gli Italiani non riescono più a pronunciare è: basta! Una parola semplice, secca, definitiva: una parola che esprime esattamente ciò che non sappiamo più essere, ammosciati e adagiati sui nostri perenni cedimenti, sulle nostre sanatorie, sulle deroghe continue.
Invece, sarebbe ora di dire un secco “Basta!”: di interrompere questo scivolare lento e inesorabile verso l’insignificanza, la pochezza, l’inconsistenza. Basta ai politicanti analfabeti: è intollerabile che gente che guadagna montagne di soldi e detiene poteri e privilegi, già di per sé intollerabili, confonda l’Abruzzo con il Molise, il Nicaragua con l’Argentina, sbagli i congiuntivi, confonda le istituzioni, balbetti sciocchezze in ogni sede e consesso. Basta!
E basta ai giornalisti appecorati davanti al potentello di turno, pronti a vendersi tutto, dall’anima alla cravatta di Marinella, per restare lì: per poter parlare, gesticolare, tontoneggiare in pubblico. Basta. Basta coi professori di nessuna professione, con gli artisti di nessuna arte, con i probiviri senza probità. Basta con questa Italia, insomma: rivogliamo il nostro Paese. Anzi, il nostro Strapaese: il ginnasio con gli studenti che si alzano quando entra il professore, la mano davanti alla bocca, i “pardon!”.
Perché la gente si è rotta le balle di sentir parlare soltanto di omosessuali, di immigrati, di antifascismo e di canapa free: ma si è rotta le balle anche di sovranismo e populismo, tradizionalismo e difesa dei sacri confini. Basta! Vorremmo essere normali: normalmente provinciali, banalmente reali, decentemente Europei, Italiani, cittadini.
Eppure non la sappiamo dire, questa parolina magnifica: basta! E viene da domandarsi di cosa abbiamo paura: cosa ci può capitare di peggio? Siamo ultimi in tutto: nei salari come nella cultura, nell’influenza internazionale come nella credibilità nazionale.
Cosa dovremmo aspettarci di peggio? Se ci governasse un clown e il governo fosse affidato al Circo Barnum, probabilmente, le cose andrebbero meglio. Se nelle università insegnassero gli stagnini e nelle scuole i brumisti, non si percepirebbero grosse differenze. E se gli elzeviri dei grandi quotidiani fossero dettati da dei marinai ubriachi, probabilmente, risulterebbero almeno divertenti.
Siamo un Paese in cui la gente perbene è presa a calci da mane a sera, ma si intitolano aule e strade ai delinquenti: un posto cui accorrono le teppaglie di tutta Europa, sapendo che qui vige la più completa impunità per il manigoldo. Di cosa, dunque, dovremmo preoccuparci, se, per una volta, liberassimo il fiele che portiamo dentro e gridassimo un colossale, sonorissimo “Basta!”. Allora, forse, ci stupiremmo per la velocità con cui il potere di chi ci sta rovinando, apparentemente granitico, possa dissolversi, come neve al sole, lasciando solo una pozza di acqua sporca per terra.