Guardo l’immagine di un quadro. Un dipinto fiammingo. “Cacciatori nella neve ” di Piet Bruegel il vecchio. Immagine fortemente evocativa. Di ricordi. Perché a Vienna, al Kunsthistorische, lo vidi veramente. E in una giornata di Dicembre. Mentre fuori nevicava a larghe falde.

Il grande museo austriaco, anzi Asburgico, è sempre un’emozione. In particolare la, dedalica, pinacoteca. Una fuga di saloni, corridoi, anfratti celati… e alle pareti una tale ricchezza di tele, dipinti da darti il capogiro. Da farti provare una variante della Sindrome di Sthendal. Indotta dall’abbondanza, dall’eccesso di bellezza.
Il quel tardo pomeriggio di Dicembre – ricordo che eravamo intorno al l’Immacolata – la sensazione era ancora più acuta. Acuita dal silenzio, quasi irreale, del paesaggio innevato. Il paesaggio di Vienna, che, in momenti come quello, appare città sospesa fuori dal nostro tempo. Una sorta di luogo atemporale. Di porta che si apre, o accosta, lasciando uno spiraglio sui giorni, solo apparentemente lontani, dell’Austria Felix. Il Mondo di Ieri, rimpianto, con prosa impeccabile, da Stephan Zweig. Il mondo di eleganza e malinconia che risuona nelle narrazioni di Joseph Roth…
Fu in tale atmosfera, e con quello stato d’animo particolare, che incontrai il dipinto di Bruegel.
Tinte fredde. Che trasmettevano la sensazione del gelo. La percezione sensoria della neve. La stessa percezione, la stessa sensazione che avevo avuto poco prima, inoltrandomi nelle vie della città, dopo aver pranzato. In una taverna ungherese. In una via lunga e stretta, tra il Duomo di Santi Stefano, con le sue oscure guglie gotiche, e l’ariosa luminosità invernale di Piazza AmHof.
Una taverna cui si entrava attraverso una pesante porta metallica ad arco, e scendendo per una scaletta sotto il livello stradale. In un’ampia sala con le volte a botte, i tavoli e le sedie di legno massiccio. Le decorazioni di Natale, festoni, corone, appesi ovunque, un trionfo di rosso ed oro su sfondo verde…
Ricordo, anche, il sapore intenso di una zuppa di gulash bollente, con patate… Il sapore, morbido e ardente, della paprika, che contrastava con quello, fresco ed aromatico, di un Tokaj ambrato …

Poi le vie innevate. E, infine, quel quadro. Cacciatori nella neve. Gli stessi colori… Blu metallico, azzurro, un verde privo di splendore. Tutti i toni del nero. E del marrone. E, soprattutto, il bianco. In tutte le possibili sfumature. Quella risplendente della neve incontaminata. E quella volgente al ghiaccio sporco delle impronte degli uomini. Uomini… poche figure in primo piano. Intabarrate e armate. Intorno una muta di levrieri. Frementi. Snelli e veloci. Cani neri, come quelli che sbranarono Atteone, tranne una coppia, col rado manto che volge al fulvo. Uniche pennellate di colore intenso, caldo, nel gelo dominante. In lontananza, verso valle, un villaggio coperto di neve. Uno strano paesaggio a suo modo natalizio, con minuscole figure che si muovono nella lontananza…
Bruegel era il maestro del particolare. Il suo tratto appare di una precisione quasi maniacale. Di una minuzia addirittura inquietante.
Eppure, dalla somma di questi innumerevoli particolari, si forma, come per magia, un’immagine d’insieme. Dove tutto è… semplicemente perfetto.
Quel dipinto rappresenta per me la perfezione dell’inverno. Dell’inverno nei suoi inizi. Nei giorni intorno al Solstizio. Quando era uso darsi a battute di caccia nella neve. Uso ancora vigente in certe contee inglesi, la caccia di Santo Stefano. E che trova echi e risonanze anche nelle nostre terre, sopratutto laddove l’arte venatoria ancora è praticata con irriducibile passione. In Toscana, ad esempio, dove la caccia invernale ha, per me, le parole del sonetto di Folgore da San Giminiano. Anche se canta una battuta nel mese di Febbraio…
“È di Febbrai’ vi dono bella caccia /di cervi, cavrioli e di cinghiari…”
Ma la Caccia di Bruegel è, indiscutibilmente, legata al Solstizio. Un rito, più che una battuta ordinaria. O un diletto, come invece quella di Folgore… Nel grigiore del cielo non vi è nulla, se non una strana luce. Ma quella luce è densa di echi… di presenze… Il sangue fiammingo del grande pittore rinascimentale sembra avvertire la presenza di un’altra caccia. Di altri cacciatori. Non le piccole figure umane che arrancano, e si confondono tra neve ed alberi. Altra caccia, altri cacciatori. Che volano nel vento. Che sembrano riecheggiare con un suono di corni lontani… Un suono che non si può udire con le orecchie. Ma che è sotteso nei colori di quella, evocativa e misteriosa, Caccia Invernale.