La scoperta che le parole dedicate da Benigni alla moglie al Festival di Venezia, così apparentemente ispirate, erano poco più che una scopiazzatura da Google, ha suscitato il solito, prevedibile, vespaio: a molti Benigni, con le sue smorfie tutte uguali e il suo obliquo rapporto col capitale, sta decisamente sulle balle. E, dunque, quale migliore occasione per dirne tutto il male possibile?
Io credo che le critiche a Benigni contengano una sorta di vizio originario, che ricorre spesso nel caso di artisti che, a vario titolo, si dimostrino uomini da poco. E’una specie di φθόνος τῶν θεῶν: l’invidia degli dei, che colpiva gli uomini troppo fortunati e troppo tronfi della propria fortuna. Solo che, qui, si tratta di invidia umana, umanissima: quella per un omino piccolo e bruttarello, che ha avuto soldi e gloria, un po’ per sua virtù e un po’ per il suo astuto rapportarsi col potere. Perciò, vorrei brevemente cercare di scindere le diverse questioni e analizzarle una per una.
Innanzitutto, l’arte. La domanda è: Benigni è un artista che merita ciò che gli è arrivato in termini di gloria e di palanche? Secondo me, sni: certamente, fino a un certo momento della sua carriera, il comico mi ha fatto ridere di gusto, il che equivale a dire che ha fatto il suo dovere. Quando ha cominciato a credersi una specie di profeta-saltimbanco, mi ha stufato: va detto che non è mica facile far ridere per cinquant’anni di fila. A un certo punto, subentrano la noia, la stanchezza, la siccità creativa. Mi verrebbe da dire che l’unica battuta davvero divertente che gli è uscita dalle labbra negli ultimi tempi riguarda il fatto che sua moglie sappia recitare. Infatti, ha cominciato a fare l’occhiolino ad alcune delle idee più in voga nel mainstream, fino a far liberare il lager dagli Sherman americani. Lo si può linciare per questo? No, dai: c’è di peggio. Semmai, si può provare un po’ di pena per lui (mitigata dall’idea del suo conto in banca) per questo triste epilogo artistico, culminato nel plagio, obbiettivamente imbarazzante di Venezia.
Poi, c’è l’uomo Benigni: un uomo che ha dimostrato di valere pochissimo: uno sdraiato ai piedi dei suoi numi tutelari, attaccatissimo al soldo, inattendibile nelle promesse e nei proclami. Insomma, uno infrequentabile. D’altronde, credo che a nessuno importi di frequentarlo. E qui l’errore è quello di confondere, come spesso succede, l’attore con la persona: se dovessimo giudicare con lo stesso metro altri mostri sacri del nostro cinema, ne resterebbero solo rottami.
Mi pare, quindi, di poter dire che tanto i laudatori che i denigratori di Benigni partano da questo equivoco fondamentale: quelli che lo credono una specie di giullare ingenuo e buono, che fustiga i potenti e difende gli oppressi e quelli che lo definiscono un cattivo comico, solo perché la sua vita non è per nulla esemplare né divertente.
I primi, perché hanno messo l’armatura di Parsifal a un personaggio che vive in strettissima simbiosi col potere, assecondandone gli uzzoli e prestandosi a farne la trombetta. I secondi, perché pensano che, nella recitazione, abbia un qualche peso la faccia che c’è dietro la maschera. Ora, senza scomodare Pirandello, sul palcoscenico ci deve interessare la maschera, non il volto.
Certo, tutto cambia se la maschera si trasforma in tribuno: se il volto pretende di comparire insieme alla maschera, svelando cosa c’è dietro le quinte. Nel caso di Benigni, c’è un apparatchnik piccolo piccolo, figlio di una Toscana provinciale e sparagnina, in cui si è abituati a rivolgersi alla nomenklatura, come altrove ci si rivolge al parroco, per mettere insieme il pranzo con la cena. Insomma, Benigni Roberto non è Roberto Benigni: è un piccolo borghese, non quello che si fa pagare milionate dalla Rai per strapazzare la Divina Commedia. Uno che non merita questa valanga di insulti, ma non merita nemmeno una beatificazione in vita. E’un attore. Basta saperlo.
2 commenti
Se Benigni non fosse l’incarnazione dell’attore prono al potere di sinistra, non avrebbe avuto successo che gli è stato tributato.
In Italia fa carriera chi si inchina e ossequia i politici di sinistra.
Non solo gli attori, ma soprattutto i giornalisti che si vendono ai partiti di sinistra, hanno la fortuna di essere lautamente pagati ed avere posti importanti nella RAI di stato
Se Benigni non fosse l’incarnazione dell’attore prono al potere di sinistra, non avrebbe avuto successo che gli è stato tributato.
In Italia fa carriera chi si inchina e ossequia i politici di sinistra.
Non solo gli attori, ma soprattutto i giornalisti che si vendono ai partiti di sinistra, hanno la fortuna di essere lautamente pagati ed avere posti importanti nella RAI di stato
Viviamo in una nazione dove la corruzione politica è molto evidente ma il popolo di idioti non si accorge di essere succube dei potenti mafiosi di regime.