Non entro nel merito della vicenda che ha visto il figlio di Beppe Grillo indagato per stupro di gruppo. Come psichiatra forense mi limito solo a porre alcune domande: erano effettivamente tutti d’accordo? L’assunzione alcolica era stata condivisa? Ridevano tutti o solo i maschi? È esistita violenza con o senza resistenza? C’era una sorta di complicità nell’esperienza collettiva? Alcune, molte altre, saranno sicuramente poste dalla difesa, perché la questione è delicatissima, e perché la responsabilità di un fatto, reato o meno che sia, è sempre individuale, anche della vittima. La vittimologia, che può considerarsi una branca delle scienze forensi, ha sicuramente il merito di aver evidenziato, nella condizione criminale di coppia o di gruppo, “la figura della vittima, da intendersi, non esclusivamente come un soggetto che subisce passivamente le conseguenze di un reato perpetrato a suo danno, ma come parte attiva, che può̀ addirittura diventare preponderante durante un processo di vittimizzazione”.

Questa valutazione complessa non esclude né la gravità del fatto né la pena del reo, ma serve a capire quanto un comportamento inadeguato, a rischio, possa aver influito sui comportamenti criminali del colpevole. Tanto per capirci: se si lascia un’auto con le chiavi sul cruscotto, in caso di furto scatta una contravvenzione per incauta custodia del mezzo (art. 158 del Codice della Strada); in più, in caso di danni provocati dal ladro l’assicurazione può non risarcire il proprietario del mezzo. Questo per chiarire che ogni condotta umana presuppone che il soggetto ponga in essere degli accorgimenti e delle tutele al fine di evitare di incappare in situazioni di danno personale se non proprio di pericolo.
Detto ciò, quello che è agghiacciante è la banalizzazione che Beppe Grillo fa di tutta la vicenda, come di un gioco da coglioni – lo dice lui –, un divertimento sessual-alcolico indicativo di una gioventù spassosa e spensierata. La criminalizzazione verrebbe dalla stampa e dalla giustizia, e non dalla diffusa accondiscendenza genitoriale ai comportamenti devianti dei figli, fino al ruolo sindacale di difesa degli stessi nel fancazzismo scolastico.

Ha ragione Paolo Rigliano, psichiatra e criminologo, quando constata che c’è un trionfo della “pseudotrasgressività di massa [quando] il piacere e il divertimento si identificano sempre di più con la trasgressione”. I genitori non esistono più nella funzione educativa, cosicché dilaga “l’onnipotenza dell’infantilismo” e, con esso, “la morte di ogni moralismo”.
Nel video c’è un padre che mima una onnipotenza infantile nella difesa del figlio e nell’autoconsegnarsi alla giustizia: dalla farsa al ridicolo il passo è breve.
Resta il problema diffuso nella categoria dei genitori di una tolleranza e di un giustificazionismo che sono dispositivi letali per la crescita equilibrata di un uomo e di un cittadino.
Altro discorso interessa la vittima che in questi anni, a volte in maniera cinicamente strumentale, viene per statuto “santificata” – secondo la definizione dei sacri testi della psichiatria forense – e quindi, per principio, ritenuta innocente. Con una simile impostazione mentale non si fa un buon servizio neppure in questo caso all’educazione, che è anche preparazione alle trappole della vita, al controllo delle relazioni, alle scelte sociali, al buon uso della propria persona, ad un equilibrato e responsabile esame di realtà.