De mortuis nihil nisi bonum. E così, se si è obbligati a parlare di un defunto, scattano inesorabili i fiumi di retorica buonista. Anche nel caso in cui ci si debba occupare di una carogna insopportabile. Ci sono lunghi elenchi di frasi fatte: era un punto di riferimento, una persona solare, un ottimo padre (o madre) di famiglia, marito (o moglie) esemplare. Sino al più modesto “salutava sempre”. Una montagna di ipocrisia che finisce per oscurare i meriti di chi, in vita, è stato davvero una brava persona.
Giuseppe Pichetto, industriale scomparso ieri, ex presidente dell’Unione industriale di Torino e poi di Unioncamere Piemonte, è stato innanzitutto una brava persona. Ed ai vertici delle associazioni di potere non è sempre facile trovare gente per bene. Inoltre è stato un ottimo imprenditore. Ed anche questo non è scontato poiché, troppo spesso, alla presidenza delle associazioni arrivano coloro che, in azienda, non servono a nulla o rappresentano un problema.
Pichetto no. Univa competenza e capacità di gestione, con una educazione di fondo che gli consentiva di gestire nel migliore dei modi le relazioni personali. Senza dimenticare la sua cultura che lo aveva portato alla presidenza del Centro studi piemontesi-Ca dë studi piemontèis. Curiosità, cultura, amore per la tradizione e le radici. Praticamente una eccezione nel panorama imprenditoriale subalpino. Non un unicum, fortunatamente, ma i casi analoghi si possono contare sulle dita di una mano, perlomeno nel Torinese. Va un po’ meglio, ma senza esagerare, nelle altre province.
Ma il venir meno di un esempio come quello di Beppe Pichetto mette a rischio anche la continuità di un approccio imprenditoriale attento a tutto ciò che non è solo profitto.