Perdere e continuare a governare. È la democrazia, bellezza. Contano i numeri, non i segnali. Ed a Berlino i segnali sono chiari: il sindaco uscente, la socialdemocratica Franziska Giffey, è stata pesantemente sconfitta e, per la prima volta, la Spd non è più il primo partito nella città stato. Vince la Cdu di Kai Wagner ed è testa a testa per il secondo posto tra Spd e Verdi. Secondo gli exit poll il distacco tra cristiano democratici e socialdemocratici e verdi è di circa 10 punti. A sinistra, inoltre, non va dimenticata la Linke, valutatata al 13%. Mentre la destra di Afd si ferma a un passo dal 10% e i liberali sono a pochi decimali dal 5% che consente di avere degli eletti.
Lo schiaffo, pesantissimo proprio perché coinvolge la rossa Berlino, non colpisce solo la non brillante Giffey, ma è diretto soprattutto al cancelliere Scholz, praticamente un ectoplasma che non è in grado di governare la Germania ma è ancor più disastroso sul fronte internazionale. La sudditanza nei confronti di Washington non è stata apprezzata dai tedeschi che non si consolano con la giustificazione che l’Italia è ancor più inginocchiata.
Aver subito senza fiatare l’attentato atlantista contro i gasdotti; essersi ritrovati a pagare cifre folli per il gas degli “amici” statunitensi; non avere la benché minima idea di come far ripartire la ex locomotiva d’Europa; aver fallito, a cominciare proprio da Berlino, l’integrazione dei rifugiati ucraini; essere perennemente a rimorchio sulla scena internazionale. Una politica fallimentare anche sotto l’aspetto economico e finanziario. E questo spiega il pessimo risultato dei liberali che, a livello federale, governano con Spd e Verdi.
Adesso nella città stato si vedrà se riproporre la coalizione rossoverde, coinvolgendo l’estrema sinistra della Linke, o se puntare su un accordo tra Cdu e Spd, ignorando le intese a livello federale.
Però per Scholz sarà molto più difficile ignorare la sberla ricevuta a Berlino “la rossa”. Può insistere con il sostegno ad una guerra che i tedeschi non vogliono? Può continuare con una politica economica inesistente? Forse no.