A me Bersani è simpatico. Intanto perché è ricco, e lo era anche prima di fare politica: e noi bergamaschi abbiamo sempre estremo rispetto per un uomo di solide possibilità economiche.
E, poi, perché cerca di fare il Guareschi di sinistra: cerca di accreditare l’idea che, in quella fettaccia di terra piacentina, arguzia e franchezza non alberghino solo negli outsider del conservatorismo padano, ma anche nei filosofetti cittadini. Insomma, che siano qualità, oggi diremmo, bipartisan.
Così, il Nostro esagera un tantino nell’infarcire di padanismi da vecchia rezdora, i suoi alati concetti politici, economici, giuridici: si sforza di fare quello che spiega l’equazione di Riccati ai bantù. E i bantù saremmo noi. Il che è, precisamente, l’atteggiamento dei filosofi illuministi: quelli del buon selvaggio e di Candide, con un pizzico di noce moscata e di burro. Ma mi è simpatico lo stesso: mi fa allegria la sua pelata, tanto simile alla mia, così come apprezzo i suoi paciosi completini grigi, le sue cravatte sobrie, i suoi occhi aguzzi come punture di spillo. Quindi, gli perdono tutto: le sesquipedali cazzate in materia di analisi politica, come la visione inginocchiata dell’Italia in Europa.
Tutto, tranne una cosa: lo jus soli. Il fottuto, maledettissimo, jus soli. Dite la verità: ve n’eravate dimenticati? Poco tempo fa, sembrava una necessità ineludibile: l’irrinunciabile baricentro di ogni futuro spirito di giustizia e di democrazia, per cui valeva la pena stracciarsi le vesti, digiunare a oltranza e, extrema ratio, bruciarsi sulla pubblica piazza. Poi, improvvisamente, come spesso accade in questo bizzarro Paese, dello jus soli non glien’è fregato più niente a nessuno.
I milioni di bambini che non potevano sopravvivere senza la cittadinanza italiana, nonostante avessero già tutte le tutele e i diritti ad essa legati, du tac au tac, sono stati erasi dalla memoria collettiva: il PD ha partorito un silenzio assoluto sulla vicenda, molto simile ad un colossale chissenefrega. Tranne lui, Bersani: l’ultimo templare. E, ieri, tra un proverbio riattato ed un aforisma ricucito, l’ha detto in televisione: la prima cosa che farei, se diventassi presidente del consiglio, sarebbe lo jus soli.
A parte che le leggi le fa il Parlamento, questa sortita è la prova definitiva e inconfutabile del fatto che, per la sinistra italiana, perfino nel cerbacone dei suoi esponenti meno stupidi e più perbene, la questione degli immigrati ha assunto il carattere di una psicosi: è, insomma, una vera malattia mentale. E, proprio per questo, il templare Pierluigi non sarà mai presidente del consiglio. Bersani, intendiamoci, continuerà a essermi simpatico, con le sue gigionate a briglia sciolta, ma lo guarderò con lo stesso sguardo con cui si guarda un cugino non proprio sveglissimo: di quelli, come scriveva Steinbeck, che Dio non ha portato a termine.
Perché essere pro o contro lo jus soli è faccenda di ideologie, sensibilità, percezione della Nazione: ma ritenerla la priorità delle priorità, in un Paese che sta affondando di prua, mi pare davvero una sindrome ossessivo compulsiva. D’altronde, il comunismo è o non è una malattia mentale? E Bersani, nonostante aforismi e completini, è di lì che proviene.