J. L. Borges amava gli antichi Bestiari. Vi vedeva non solo la grande capacità dell’uomo medievale di immaginare, e sopratutto sognare, esseri fantastici, ma anche una diversa chiave interpretativa di quella che siamo soliti chiamare “realtà”.
E nella quale il cantore di Buenos Aires non credeva. O, per lo meno, della quale non accettava la visione massiva, grigia e opprimente, propria della maggioranza degli uomini.
Certo, lui era cieco. Come Omero. O, se vogliamo, come Tiresia. Il, leggendario, indovino del Ciclo Tebano. Per interrogare il quale, Odisseo scende sino agli inferi.
Nei poeti, la cecità fisica sembra essere il prezzo da pagare per avere un’altra vista. Più vasta. E più profonda.
I Bestiari hanno origine antica. Risalgono, quasi certamente, al Fisiologo, opera alessandrina del IV sec. d. C.
Ma, con molta probabilità, le loro radici sono rintracciabili già in Diascoride e, soprattutto, in Plinio il Vecchio.
Sono, in buona sostanza, cataloghi di zoologia. Così come i Lapidari lo erano per pietre e metalli. E gli Erbari per le piante di ogni tipo. L’anima medievale – i Bestiari giungono, in sostanza sino al XIV sec. – ama le classificazioni. Non per nulla Dante chiama Aristotele “il maestro di color che sanno”.
Classificare implica la conoscenza della incredibile varietà del Mondo. E della vita. E genera il senso della meraviglia. Che, come dice Pascoli, è la fonte della poesia.
Il moderno scientismo, elevato a nuova fede cieca, non prova meraviglia di fronte alle cose e alla loro Natura. Solo brama di dominio. E, in fondo, insicurezza e paura. Nonostante l’arroganza dei suoi zeloti.
Gli antichi Bestiari avevano, in fondo, due scopi. Descrivere gli animali, suscitando, appunto, meraviglia e “curiositas”. E rintracciare un legame sottile tra questi e la vita, sopratutto morale, dell’uomo.
La Commedia si apre con le Tre Fiere. E con la profezia del Veltro. Innumerevoli le interpretazioni possibili. Tutte, in certo qual modo, legittime. L’allegoria adombra sempre una pluralità di significati. A diversi livelli di percezione e coscienza. L’uomo medioevale non possedeva la nostra tecnologia. Non poteva farsi un frullato, né passare l’aspirapolvere. Ma aveva una coscienza dell’ordine del Cosmo molto meno semplicistica, e povera, della nostra
Le figure degli animali, nei Bestiari, rispondono, appunto, a questa coscienza della complessità.
Il Leone, tanto per fare un esempio, può rappresentare la tracotanza e la violenza. Oppure il coraggio. Può significare una città e un potere politico – San Marco, o anche il Marzocco fiorentino – e raffigurare addirittura il Christo.
C. S. Lewis, che il pensiero medioevale sapeva penetrare come pochi, utilizza tali simbologie animali nelle sue “Le cronache di Narnia”.
Nei Bestiari vi sono animali reali e animali fantastici. O meglio, animali che popolano l’immaginario onirico. E che, pertanto, hanno la stessa sostanza di quelli che possiamo vedere allo zoo. Perché…siamo fatti della stessa sostanza dei sogni.
L’unicorno, che solo una Vergine può domare. Il Drago, immagine del male. Per lo meno nel nostro mondo occidentale. Ché in Cina è simbolo di tutt’altro.
Borges, nel suo “Manuale di zoologia fantastica” elenca decine di animali, mostri, esseri straordinari che non si incontrano sulla terra. E che, pure, da sempre popolano e inquietano l’immaginario dei popoli.
Elenca, e racconta. Con quella straordinaria capacità di sintesi folgoranti che è la caratteristica del suo stile. Soprattutto in prosa.
Leggere questo suo, personalissimo, bestiario, è ben altro che dilettarsi con la fantasmagorica fantasia di un sognatore senza pari. Tra le righe è possibile vedere emergere, in controluce come su una carta di riso nipponica, l’immagine dell’uomo e del mondo che il poeta si andava formando nella sua tenebra azzurrata. Come definisce la cecità.
Le immagini di animali, reali o fantastici, sono una chiave di lettura del mondo. E della vita. Le decorazioni delle, grandi, Cattedrali costruite dai maestri muratori del Gotico, ne sono la riprova. Basilischi, gargoyles, tarasche, arpie e unicorni. Sono bestiari. Libri scolpiti nella pietra. Ci raccontano l’anima del Medioevo. Come spiega Baltrušatis. E ci indicano un percorso, alternativo, verso la conoscenza. Come indica Fulcanelli ne “Le dimore filosofali”.
Poi, inevitabilmente, i soliti pensieri oziosi. Che animali potrebbero entrare, oggi, in un nuovo Bestiario? Che animali fantastici, soprattutto… Beh, se si mantiene un minimo di coscienza desta, aggirandoci per la città – la città grigia e informe – di animali strani se ne vedono. Eccome.
Batraci bipedi e senza volto, che si muovono con paurosa cautela. Quasi strisciando contro i muri. Solitari.
Jene saprofaghe dal riso istericamente felice per i pasti abbondanti che a loro si offrono.
Lemuri dagli occhi spaventati. Giganteschi ratti. Avvoltoi con testa umana.
Non si vedono leoni, né lonze. Però vi sono ancora i draghi. Una specie particolare. Quella di Gerione. Il drago con corpo di squame iridescenti, falsa sensazione di bellezza. Volto da uomo dabbene. Ali da pipistrello. E coda, velenosa, di scorpione. Appare, nella Commedia, subito dopo che Dante ha incontrato gli usurai….
Mostri e animali fantastici non mancano. Ma non potrebbero decorare una Cattedrale. Forse solo un Museo degli Orrori, un Manicomio. O una, grande, Banca d’affari…