Anche i fatti di cronaca e i cold case non sono tutti uguali. Nel senso che permangono nel nostro immaginario collettivo e individuale in misura diversa e non necessariamente proporzionata alla loro entità oggettiva. Ci sono centinaia di omicidi irrisolti, eppure quello di via Poma ha fatto storia come quasi nessun altro; ci sono centinaia di adolescenti scomparse, eppure il giallo di Emanuela Orlandi non ha pari nella memoria del paese.
Gli stessi attentati dell’11 settembre sono diventati un’icona non solo per la loro straordinarietà, per l’orrore che hanno suscitato o per le conseguenze che hanno comportato nella politica internazionale, ma anche perché di quella eccezionale dinamica terroristica abbiamo avuto una visione diretta e registrata che ne hanno amplificato enormemente l’impatto.
Il caso di Donato Bilancia invece, al contrario, nonostante il drammatico bilancio di vittime è – per usare un’espressione infelice – molto meno famoso di quanto potrebbe e dovrebbe essere. Nonostante l’efferatezza e il numero di omicidi, questo serial killer ha ricevuto soltanto un “omaggio” filmico, per così dire, peraltro girato bene e bene interpretato: “L’ultima pallottola”, una miniserie di Michele Soavi andata in onda nel 2003 su Canale 5, con Antonio Catania e Giulio Scarpati. Peraltro, numero di vittime a parte, in Bilancia (Nomen omen questa volta non si può proprio dire) gli elementi di perversione e follia omicida non mancavano certo, basti pensare che quando il 18 aprile tornò a colpire sul treno Genova-Ventimiglia, uccidendo Maria Angela Rubino, arrivo a masturbarsi sul suo cadavere.
Bilancia fu condannato a 13 ergastoli per 17 omicidi e a 16 anni per un tentato omicidio. È morto l’altro giorno per Covid, a 69 anni, nel carcere Due Palazzi di Padova. I delitti attribuitigli sono avvenuti tra il 1997 e il 1998, nel giro di sei mesi, tra la Liguria e il Piemonte. Bilancia fu soprannominato il “serial killer delle prostitute”, anche se colpiva in maniera apparentemente casuale: sceglieva le vittime affidandosi alle circostanze e le freddava senza pietà.

Venne arrestato nel 1998 incastrato da varie prove – l’auto usata per alcuni spostamenti, un passaggio di proprietà, multe per il mancato pagamento dei pedaggi autostradali – e dalla testimonianza di Lorena Castro, la trans sopravvissuta alla sua furia omicida. Fu arrestato il 6 maggio del 1998 e dopo pochi giorni confessò gli omicidi. L’assassino non si è mai pentito, ma aveva cominciato un percorso di “recupero” che gli consentì di ottenere un permesso per uscire dal carcere dopo 20 anni di detenzione, quando si recò, scortato, sulla tomba dei genitori.