Da settimane il provvedimento conosciuto dai più con l’appellativo di DDL Zan sta facendo parlare dei propri contenuti, tirando nel dibattito pubblico le più disparate personalità della società civile. Personaggi pubblici, cantanti e politici si sono avventurati, chi a favore, chi contro, in lunghe dissertazioni circa la bontà o la necessità dell’approvazione della legge.
Per dare una lettura giuridico-politica del perché il DDL Zan sia diventato innanzitutto un caso mediatico, ancor prima che politico, siamo andati a intervistare un legale civilista di Torino, l’avvocato Carlo Boetti Villanis, erede dello Studio legale Boetti Villanis-Audifredi di Torino, composto da avvocati civilisti e avvocati penalisti che opera sul territorio da oltre 50 anni e che peraltro si occupa anche di politica essendo Portavoce regionale del settore Professioni per Fratelli d’Italia.
Avvocato Boetti Villanis, innanzitutto la ringraziamo per il suo tempo e per la sua attenzione. Iniziamo con il chiederle: come mai si è creato questo polverone mediatico sul DDL Zan?
“Strumentalizzazioni politiche e propaganda politica.
Oramai la norma non è più utilizzata per lo scopo a cui è destinata ma anche il processo di formazione della norma viene utilizzato come un randello per cercare di mettere in crisi la parte politica avversa. Il problema è tutto lì. In realtà, probabilmente con l’utilizzo di una tecnica legislativa diversa, si sarebbe evitata la contrapposizione che si è determinata il conseguente polverone mediatico”.
Si può essere contro l’iniziativa legislativa del DDL Zan senza essere considerati omofobi?
“Certamente, è evidente. In realtà, oramai, le parole “omofobo”, “fascista”, sono utilizzate come randelli e come strumenti di polemica politica. Il problema qui non è omofobia o non omofobia, è di tecnica legislativa e di utilizzo dello strumento legislativo. La legge non può e non deve essere utilizzata come uno strumento moralizzatore. La legge non può e non deve essere utilizzata come un modo per sensibilizzare la popolazione su certi determinati problemi, specie quando di fatto le tutele già esistono e sono presenti nel contesto normativo”.
Quali tutele esistono a favore delle categorie che questo DDL vorrebbe andare a proteggere?
“Il problema è che la legge dovrebbe avere i caratteri della generalità e dell’astrattezza. Questo è un principio che insegnano al primo anno di giurisprudenza e che era ben presente nel legislatore del 1938 Alfredo Rocco che scrisse il codice penale, il quale, al capitolo delle aggravanti, all’articolo 61 numero 1, introdusse l’aggravante di aver commesso il reato per motivi abietti e futili. Ora se non sono abbietti e futili i motivi relativi alla discriminazione, non so quali possano essere. All’epoca si aveva una concezione del diritto inteso con i caratteri della generalità e dell’astrattezza. Questo faceva sì che anche se certi determinati problemi non erano all’ordine del giorno in un determinato momento, non si utilizzava la norma per fare polemica politica ma si utilizzava la norma per regolare i rapporti fra le persone e tra le persone e lo stato, e si è prevista, a livello generale, un’aggravante che a seconda di quella che poteva essere l’evoluzione del comune sentire della popolazione avrebbe potuto essere applicata – motivi abietti e futili – a qualsiasi fattispecie che si fosse creata mano mano nei tempi. Punto. Non è difficile”.
Quale dovrebbe secondo lei essere il rapporto tra legge e politica?
“La legge serve a regolare i rapporti fra i cittadini ed è la legge civile, e i rapporti fra i cittadini e lo stato, la legge penale, e la legge amministrativa. Utilizzare la legge come un randello per fare lotta politica e strumentale determina dei cortocircuiti tali per cui alla fine si perde il significato della legge. La legge è, in linea di massima, precetto e sanzione. Non è sensibilizzazione. E vi dirò di più: è molto semplice anche trovare un sistema perchè venga applicata l’aggravante dell’articolo 61 numero 1, nel caso in cui i giudici, diversamente da quello che si pretende essere il comune sentire della popolazione, non la applichi nei casi di discriminazione. Basterebbe aggiungere un piccolo comma alla fine dell’articolo 61 in cui si dice che l’aggravante di cui al numero 1, quella per i motivi abietti e futili, si applica in ogni caso in cui ci sia una lesione dei diritti garantiti dall’articolo 3 della Costituzione che vieta le discriminazioni”.
Cosa bisognerebbe fare per sensibilizzare contro questa forma di reato e discriminazione?
“Innanzitutto, la sensibilizzazione non si fa con la norma, ma si fa creando cultura, creando le condizioni perché non ci siano velleità di natura discriminatoria. Perché farlo con la legge, laddove la legge vada a punire il pensiero, avvicina la nostra democrazia liberale agli stati etici, e la democrazia liberale è in netta e totale contrapposizione con gli stati etici. Farlo attraverso le norme, e farlo per di più attraverso quella che io chiamo la tecnica legislativa del carciofo, cioè senza affrontare la situazione in termini generali, ma normando di volta in volta i casi che mediaticamente diventano dei motivi di lotta politica, crea dei cortocircuiti legislativi per cui alla fine non si capisce più qual è la situazione. Faccio un esempio semplice, proprio con riferimento al disegno di legge Zan. Nel 2016 Renzi abolisce il reato di ingiuria e lo rende soltanto un illecito civile. Per cui nessuno è più punibile per il reato di ingiuria. Nel 2021, a questo punto, si pretende di reintrodurre il reato di ingiuria solo a danni di una categoria. Questo determina una disparità di trattamento e una discriminazione nei confronti di tutte le altre categorie, e questo è un corto circuito legislativo inammissibile”.