Un vero e proprio trionfo quello del candidato socialista Luis Arce alle elezioni presidenziali svoltesi in Bolivia ad un anno dal golpe che aveva rimosso dalla massima carica istituzionale lo storico leader Evo Morales.
Stando ai primi dati Arce, in accoppiata con David Choquehuanca, avrebbe superato il 50% dei consensi scongiurando il secondo turno e staccando di oltre venti punti percentuali il primo degli sfidanti, l’ex presidente Carlos Mesa.
Nelle concomitanti elezioni per il rinnovo della Camera e del Senato il Movimiento al Socialismo (MaS) avrebbe la maggioranza dei seggi, un dato che rende plausibile il rientro nel Paese andino, dall’esilio forzato in Argentina, di Evo Morales in breve tempo.
A nulla è valso l’endorsement della presidentessa ad interim Jeanine Áñez al principale sfidante di Arce e la retromarcia fatta riguardo la propria candidatura. L’anno di terrore e violenza vissuto dai cittadini boliviani dal novembre 2019 ha rinsaldato i legami con le strutture sindacali e partitiche che hanno governato la nazione sudamericana dal gennaio 2006 allo scorso anno.
Ancora più staccati gli altri candidati della destra liberale, dal pastore evangelico di origini coreane Chi Hyun Chung, artefice di un piccolo exploit un anno fa, all’intransigente leader della ricca provincia orientale di Santa Cruz Luis Fernando Camacho.
I prossimi voti in Cile, per il referendum costituzionale, e in Venezuela, per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale, potrebbero riportare in auge l’onda rosa dei movimenti populisti permettendo di superare anche l’atavico problema del passaggio di testimone dal leader di riferimento ai discepoli cresciuti nelle compagini governative dell’ultimo decennio.