Bolsonaro ondivago come Trump?
Ancor prima della sua recente elezione alla presidenza della Repubblica del Brasile, Jair Bolsonaro ha fatto parlare di sé come di un Donald Trump in salsa verde-oro.
Se, di sicuro, il suo progetto politico ha ben poco a che vedere con il filone “populista” che sta sconvolgendo il panorama politico internazionale, d’altro canto alcune similitudini tra i due uomini iniziano ad intravedersi.
Insediatosi da appena una settimana presso Palácio do Planalto, sede ufficiale della presidenza nella capitale Brasilia, l’ex militare ha già mutato più volte idee e progetti per l’inizio del suo mandato.
In politica estera la linea sarà opposta a quella che vedeva nel Brasile uno dei tasselli fondamentali dei BRICS nel quadro di forze regionali in un assetto multipolare.
L’idea di Bolsonaro appare quella di ripristinare il legame con gli Stati Uniti chiarendo una volta per tutte che l’idea sovranista non alberga minimamente fra le sue priorità con buona pace dei Salvini nostrani che avevano gridato vittoria nel giorno della sua elezione per coinvolgerlo in un non ben identificato asse di destra internazionale.
Nemico della Russia e della Cina (due degli altri membri BRICS) e del filone populista di sinistra latinoamericano (ha definito dittatori i presidenti Nicolas Maduro del Venezuela e Daniel Ortega del Nicaragua) ha, però, invitato alla sua proclamazione il socialista Evo Morales della Bolivia e si è prima dichiarato possibilista all’apertura di una base militare statunitense sul proprio suolo per poi fare velocemente retromarcia.
Dietro il repentino cambio di idea sembra ci sia il malumore generato fra i vertici delle forze armate brasiliane.
In politica economica la scelta di nominare Paulo Guedes, allievo dell’ultraliberista Milton Friedman a Chicago, ministro dell’Economia e di aprire la Foresta Amazzonica allo sfruttamento delle multinazionali chiarisce subito il percorso del suo mandato.
Appare evidente, però, ad una prima riflessione che Bolsonaro sia simile a Trump negli atteggiamenti pubblici (sempre ben oltre il limite in quanto a dichiarazioni, frasi shock e toni volutamente alti, polemici e offensivi) ma, soprattutto, sia pronto a rientrare nei ranghi quando quello “Stato profondo” che ha preso le redini del Paese in seguito all’impeachment della presidentessa Dilma Rousseff lo richiama all’ordine.
Inutile discutere sulla comparazione con le idee europee novecentesche di fascismo e nazional-socialismo che ebbero come unico artefice nel sub-continente l’argentino Juan Domingo Peron, figura ben diversa da quella del sessantatreenne ex capitano dell’esercito.