Immagini di Trieste. Soffia la Bora… Ne ho già parlato, lo so… tuttavia la memoria non è una retta, né un piano senza increspature. È, piuttosto, un susseguirsi di onde. Il “sovvenir” di Leopardi. E del Manzoni del “5 Maggio”. Onde che vengono, per un attimo ti travolgono. Poi si ritraggono. E ritornano…
E poi questa è la Bora di Carnevale. Un vento particolare, che soffia tra febbraio e marzo, provocando improvvise gelate su un Carso già in fioritura. E solleva onde a sommergere i moli…
È la Bora che, nei miei lontani anni universitari, sollevava nuvole di coriandoli che i bambini si erano divertiti a gettare ai passanti. E trascinava per le vie – che rapide si svuotavano di uomini, ma non di vita – cespugli aggrovigliati di stelle filanti.

Era un vento che ricorreva nei racconti di Quarantotti Gambini, straordinario narratore di un’infanzia ancora capace di incanto. E nelle storie sospese sul crinale, difficile, del mistero e della metafisica di Stelio Mattioni. Era il vento che soffiava in certi versi di Saba, l’unico, fra questi, che qualcuno ancora legge… Gli altri… beh se li è portati via l’inconsapevole stoltezza della nostra epoca. Che è vento molto più forte della Bora . E più cupo…
Il ricordo di quello che Omero chiama Borea fecondatore di cavalle – pazientate, questa mica potevo non dirla… – mi riporta anche profumi. E sapori. E sono sensazioni… tangibili. Perché anche qui, così lontano, il vento soffia forte stasera. Non so se sia Bora, ma certo è gelido. E, cosa qui inusuale, stanno buttando palate di sale sulle strade…
E poi è una delle ultime sere di Carnevale. Anzi, di Carnovale. Per dirla con Goldoni. E rubare al suo personaggio l’umor melanconico. E le parole della nostalgia…
Profumi e sapori… Mi sembra di sentirli, nel naso e sul palato… Gli gnocchi con le prugne. Coperti di burro fuso, zucchero, cannella.. In quel buchetto vicino al Viale – la Tavernetta credo si chiamasse, ma si sbaglio mi correggerai, Marco… – li facevano meravigliosamente… E il pollo fritto, in un altro buco, in Piazza Oberdan…dove dicevano che ancora qualche vecchia maliziosa andasse a fare il saluto romano alla statua ignuda del martire. Per vedere se questo rispondeva. Scoprendo così… il pube…
E poi la “porcina”, bollita in grandi calderoni, messa nel panino con una spennellata abbondante di senape… in quel posto vicino alla Stazione ferroviaria. Quello che chiamavamo “dai Sporchi”…
La Bora di febbraio, però, è, nel ricordo, un vento pulito. A suo modo terso. Limpido. Sa di nevi lontane. Di grandi distese ove galoppano cosacchi ebbri di vodka. Di fantasie (forse) rubate ad un romanzo di Pûskin. Ad un canto di Lèrmontov…
È un vento che ti gela, perché passa attraverso giacconi e vestiti. Ed i vecchi, una volta, si avvolgevano, non a caso, il petto con carta di giornale…
Ed è un vento che porta le febbri, certo. Perché questo, non dimentichiamolo, è il mese di Febbre. Però pulisce. Spazza le strade di ogni lordura che gli uomini abbandonano. Immondizie, cartacce, cicche… oggi, immagino, anche mascherine laide .
Spazza anche le menti. Le svuota. È un vento forte, Borea. Un vento da uomini. Non da ominicchi e quaquaraquà… Un vento che prepara la primavera. Ce n’è bisogno. E non solo nella mia, lontana, Trieste. E per ripulire non solo le strade…