Prima Alessandro Borghese, poi Flavio Briatore. Entrambi convinti che i giovani italiani debbano affrontare sacrifici per inserirsi nel mondo del lavoro. Il che, in linea teorica, è non solo comprensibile ma anche giusto. Sacrosanto. Già, in linea teorica. Borghese, rampollo di una famiglia ricca che gli garantiva spalle ampiamente coperte, esalta la sua esperienza iniziale di lavoro non retribuito. Quanto a Briatore, il suo racconto degli anni giovanili non è propriamente in linea con i ricordi dei suoi concittadini che lamentano comportamenti non proprio corretti sotto l’aspetto economico.
Ma gli anni aggiustano tutto e cancellano gli avvenimenti meno esaltanti. Ed ora sotto accusa non c’è più chi non onorava i debiti ma quei ragazzi che non si adeguano alle logiche dei nuovi ricchi e dei ricchi meno nuovi.
Indubbiamente non ha molto senso sognare un futuro da chef e poi pretendere orari da impiegato comunale. Chiunque voglia lavorare nella ristorazione, nell’accoglienza, nel turismo deve essere consapevole che l’attività si svolge proprio nel momento in cui i coetanei e la gente “normale” si sta divertendo. Il bagnino non può lamentarsi poiché è impegnato in spiaggia mentre i turisti fanno il bagno. Così come l’impiegato del Catasto non può lamentarsi se il bagnino, a febbraio, se ne va alle Maldive mentre il dipendente pubblico è sommerso dalle scartoffie.
Ciascuno sceglie il lavoro sulla base delle proprie capacità, competenze, disponibilità. Il cameriere di un ristorante avrà orari diversi rispetto a un docente universitario, l’operaio potrà fare i turni in fabbrica ma a ferragosto sarà in vacanza,
E sino a qui, tutti possono essere d’accordo. Poi subentrano le ragioni dello scontro. Il lavoro gratuito è una porcata, non solo inutile ma anche dannosa. “Per noi è un costo perché dobbiamo insegnare un mestiere”, assicurano i donatori di lavoro ma non di stipendio. Che non sono mai dei benefattori. Dunque potrebbero tranquillamente assumere, e pagare regolarmente, personale già formato. Se non lo fanno è perché il giovane, seppur inesperto, rende più di quanto costi. Ma il ragazzo, insieme all’esperienza, maturerà risentimento per lo sfruttamento a cui è sottoposto. E si ricorderà lo sfruttamento, non l’esperienza.
Sul fronte opposto, però, troppi ragazzi senza alcuna competenza si presentano sul posto di lavoro con arroganza e presunzione. Pretendono di insegnare ciò che non sanno, rifiutano di imparare, di rispettare regole e comportamenti. Il che è intollerabile nel caso in cui siano regolarmente retribuiti.
Due mondi che non si comprendono, che non si accettano.
Ma non è solo colpa del reddito di cittadinanza, come sostengono gli imprenditori. È che sono cambiati parametri ed obiettivi. Arricchirsi non è più la priorità, anche perché è cresciuta la consapevolezza che l’ascensore sociale funziona solo in discesa. Dunque perché accettare lavori faticosi, stressanti, scomodi, con orari che non favoriscono la socialità in cambio di retribuzioni che non permetteranno mai il salto di qualità, l’approdo nell’agiatezza? Perché lavorare 7 giorni su 7 per l’intera estate, inchinandosi di fronte a cafoni arricchiti, per ritrovarsi in autunno con i soldi per potersi permettere una vacanza solitaria in un luogo sfigato?
Briatore assicura che le retribuzioni, nei suoi locali, partono da 1.500 euro netti al mese. Non è certo poco. Ma non tutti, per questa cifra, sono disponibili a correre allo schioccare delle dita di un calciatore maleducato o di una protagonista, non particolarmente dotata intellettualmente, di uno dei tanti programmi spazzatura della tv.
C’è altro nella vita. Con buona pace di Borghese e Briatore.