Domenica 2 ottobre saranno più di centocinquanta milioni i cittadini brasiliani chiamati alle urne per eleggere il nuovo presidente della nazione sudamericana, i 513 deputati della Camera, 27 senatori (sugli 81 totali) e i governatori dei 26 stati regionali oltre a quello del distretto della capitale Brasilia.
Già vincitore nelle tornate del 2002 e del 2006 l’ex presidente Lula appare il favorito per l’insediamento a Palacio do Planalto anche se, a detta di tutti i sondaggi, dovrebbe fermarsi a pochi punti percentuali da quel 50% più uno che gli consentirebbe di evitare il ballottaggio fissato per il 30 ottobre, nel quale appare in ogni caso in netto vantaggio secondo tutti gli istituti sondaggistici del Paese lusitano.
La distanza tra l’ex sindacalista e il presidente uscente Jair Bolsonaro appare superiore alla doppia cifra con una forbice che tende ad allargarsi fino ai quindici punti di distacco tra i due sfidanti. Ago della bilancia, almeno al primo turno, dovrebbe essere Ciro Gomes candidato del Partito democratico del lavoro (Pdt) ed ex ministro proprio con Lula oggi accreditato del 7% e postosi in opposizione alla svolta moderata di Lula che, non a caso, ha scelto di presentarsi agli elettori in coppia con il suo ex rivale del Partito della social democrazia brasiliana (Psdb) Geraldo Alckim (battuto nella corsa alla presidenza nel 2006).
Tra gli altri otto candidati emerge, in parte, solamente la senatrice Simone Tebet del Movimento democratico brasiliano (Mdb) accreditata del 5%. Dovrebbero galleggiare a ridosso dell’1% dei voti i restanti otto aspiranti alla massima carica istituzionale: Soraya Thronicke del Partito unione Brasile, Luiz Felipe D’ávila del Partito nuovo (Novo), Vera Lucia del Partito socialista dei lavoratori unificato (Pstu), José Maria Eymael della Democrazia cristiana (Dc), Leonardo Pericles di Unità popolare (Up), Padre Kelmon del Partito laburista brasiliano (Ptb) e Sofia Manzano del Partito comunista brasiliano (Pcb).
Nell’ultima settimana di campagna elettorale hanno fatto discutere la scelta di Lula di non prendere parte all’ultimo dibattito televisivo (pratica comunque diffusa fra coloro che vengono riportati in netto vantaggio) e le parole ambigue di Bolsonaro sulla validità e l’eventualità del riconoscimento del voto elettronico, polemica alquanto simile a quella di Donald Trump negli Stati Uniti, ma di sicuro più grave per via del solido legame fra il sessantasettenne presidente e le forze armate gialloverdi come sottolineato anche da Luca Bagatin su queste stesse colonne.