Ieri sera, stanco e assonnato, rileggevo la “Favola di Natale”, di Giovannino Guareschi. Mi era tornata in mente, dopo tanti anni, per una cosa pubblicata su FB dal mio, vecchio, amico Stefano Mecenate. Che di Guareschi è appassionato e, grande, studioso. Per inciso, è anche un editore, Dreambook è sua. Un editore abbastanza pazzo, visto che ha pubblicato un mio libro…
Comunque, ero lì. Solo, nel silenzio. Sul divano davanti all’albero di Natale. Che scintillava di luci. E mi rileggevo, tutto contento, quella strana fiaba natalizia, che parla di morti. Oddio, strana…a pensarci, il Natale ha da sempre avuto a che fare con il mondo dei defunti.
Forse perché la nascita di Gesù è il, necessario, preludio alla morte e Resurrezione. O forse perché da quella data il Sole abbandona il cammino delle tenebre, e riprende, come già ho scritto, il sentiero della Luce. E degli Dei. Che, poi, significa I Luminosi.
Fate voi… come vi aggrada. Per me tradizione “pagana” e cristiana non sono in contrasto. Anzi…
E, forse, è proprio per questo che le notti intorno al Natale sono popolate di… fantasmi. Come attesta Dickens.
Comunque, me ne stavo lì, leggendo. Però avevo sonno, e, a un certo punto,mi devo essere addormentato. Proprio come Giovannino nella fiaba da lui stesso scritta.
Non so quanto tempo sia trascorso. Fatto sta che mi sono svegliato (almeno credo) che doveva essere notte fonda. Era buio, tranne che per le lucine dell’albero. Mio figlio, andando a letto, doveva aver spento la luce della sala.
Mi sentivo… torpido. Gli occhi cisposi. Però, nell’ombra, mi accorsi di non essere solo.
Se ne stava lì, seduto al tavolo. E mi guardava, sorseggiando un bicchiere di vino, Teroldego, che si era versato senza tanti complimenti.
E già questo mi faceva strano.
Come sanno i (pochi, pochissimi) lettori di questi miei articoletti, io, alle visite di fantasmi, ci sono ormai abituato da lunga pezza. Però compaiono, si siedono, parlano…e se ne vanno. Punto. Questo, invece, bello tranquillo, si è versato un bicchiere di vino. E, ora, si sta anche accendendo un mezzo toscano. Un atteggiamento dì… familiarità per lo meno insolito.
Mi guarda. E sorride sotto i baffi.
“Beh, mi fa piacere rivederti. Era un bel pezzo che non mi cercavi. Credevo ti fossi dimenticato del tuo vecchio amico…” Scuoto la testa.
Difficile dimenticarti. È una vita che mi fai compagnia. In ogni circostanza. Solo che, da moltissimi anni, te ne stavi chiuso in degli scatoloni. Lontano. E non potevo più leggerti. Ora…sei tornato.
Annuisce.
“Già…la grande città…ne so qualcosa. È dispersiva. Ti fa perdere di vista i tuoi orizzonti. Dimenticare le cose davvero importanti. Ti fa sentire… solo. E i miei erano altri Tempi. E avevo la Margherita e i ragazzi…tu, invece” tira una boccata di fumo. Con aria soddisfatta. E beve un gran sorso. A questo punto, anch’io mi accendo la pipa. E mi verso il vino.
Lui guarda il bicchiere.
“Non è malaccio… preferisco quelli delle mie parti, però. Sangiovese, lambrusco. Mi fanno più allegria”.
Siamo in Trentino, qui. Ed io preferisco adeguarmi al luogo. È una questione di sintonia con l’ambiente. Con la Terra.
Altra boccata di fumo. E altra sorsata. Ora il bicchiere è vuoto. Senza tanti complimenti, se ne versa un altro.
“Beh, alla fine ci sei riuscito…hai finalmente trovato il tuo mondo piccolo. Lo cercavi da molto, moltissimo tempo…”
Vero, negli anni di Roma, soprattutto gli ultimi, non facevo altro che sognare di trasferirmi quassù…
Adesso, però, scuote la testa.
“Non intendevo questo… certo, negli ultimi anni il tuo desiderio era più chiaro. E forte. Ma per te è sempre stato così. Forse proprio per questo hai cominciato a leggermi…”
E mi torna in mente il primo libro. Il primo impatto. Ero con mia madre, alla libreria San Lorenzo. Non esiste più oggi, ma si chiamava così, perché proprio dietro il Duomo cittadino. Eravamo sotto Natale, e io avrò avuto non più di quindici anni. Mi capitò fra le mani, per caso. “Don Camillo e i giovani d’oggi”. Perché ho iniziato dall’ultimo della serie. A casa, lo divorai. Letteralmente. E, poi, Natale e Compleanno. Arrivarono tutti gli altri della serie “Mondo piccolo”.
La scrittura nitida. Essenziale e pastosa al tempo stesso. Nessuna espressione dialettale. Eppure sembrava di sentirli parlare don Camillo, Peppone, il Brusco, il Bigio, il Lungo e tutti gli altri.
E mi ritrovavo precipitato in quel mondo. Piccolo, certo. Eppure, a suo modo, essenziale. Completo. Una dimensione a sé stante. Dove, certo, esisteva il dolore, l’odio, il conflitto. Ma tutto era… umano. Non trovo altro termine. Tutto permeato di un senso di, profonda, umanità.
Poi con gli anni, come tutti i giovani, cominciai a sognare altro. La grande città. Con le sue, caotiche e vorticose, attrattive. Ma quel paese, quel microcosmo, mi restò dentro. Nel profondo. E mi aiutò nei momenti difficili.
Beve un altro sorso. Si lambisce le labbra con la manica della camicia a scacchettoni. Sembra… soddisfatto.
“Sono contento per te, sai? Tu, laggiù, non ci stavi bene. Non era Il tuo posto. Tutto qui. Tu hai un animo da paesano. Magari preferisci la montagna, mentre io amavo la Bassa, piatta e nebbiosa. Ma, comunque, la dimensione del paese. Con i suoi personaggi. Le sue storie…” una boccata di fumo…lo guarda salire verso il soffitto.
“Che poi, se ci pensi, ci sono più storie in un paese, in un borgo, che in una metropoli. E più tipi umani. Caratteri. La metropoli tende a uniformare. A rendere tutto uguale. È come una pialla che elimina le diversità. Nel mio Mondo Piccolo c’erano un’infinità di storie. Era una continua fonte di …ma sì, dai, diciamo pure ispirazione. A Milano potevo davvero trarre storie solo dalla mia famiglia…il mio unico mondo era quello. Fuori… tutto era grigio.
E per te, laggiù, era anche peggio…”
Appoggia il bicchiere. Vuoto. E si alza pesantemente, il mezzo toscano stretto fra i denti.
“Ora che vada….ma credo che, in un modo o nell’altro, ci rivedremo spesso, nel prossimo futuro”
Annuisco. E accendo la pipa.
Ciao Giovannino.
Buon Anno.