DIGRESSIONI STORICHE
Agli albori della modernità lato sensu, il cui fondamento convenzionale è il Trattato di Westfalia (1648) che sancisce l’epilogo della Guerra dei Trent’Anni (1618), stanno due fondamenti: il tramonto dello Stato feudale e l’alba dello Stato Nazionale. Il 1648, pertanto, è da considerare come anno del trapasso dal Medioevo alla Modernità, ossia dal mondo universale della Res Publica Christiana a quello nazionale della Spada e della Corona.
Uno spartiacque, una frattura radicale capace di portare a definitive conclusioni le premesse divisive già insite nella Rivoluzione Protestante. Ancor più questa vera e propria Rivoluzione Europea, che da lì ai secoli a venire avrebbe avuto un’eco planetaria attraverso i processi di State-Building coloniali e non solo, ha investito il modo di concepire lo Stato tanto quanto l’organizzazione economica e il ruolo della Società, nonché il binomio Politica-Potere.

Nella fattispecie, tenendo in grande considerazione gli spunti riflessivi di Max Weber in “Politik als Beruf” e “Wirstschaft und Gesellschaft”, è possibile ricordare i risvolti oggettivi di questo immenso processo storico, che portano tuttora lo Stato Nazionale a contraddistinguersi per: la definizione rigorosa di “confine territoriale”, la costruzione dell’identità nazionale e lo sviluppo dell’idea di “sovranità nazionale”, dal lato eminentemente oggettivo-statuale; la neutralizzazione e la sottomissione dei contropoteri, la creazione di una burocrazia statale e l’attribuzione allo Stato del monopolio della coercizione legittima, dal lato prettamente organizzativo-statuale.
Il processo di formazione degli Stati Nazionali europei, in principio avviato dalle monarchie assolute, è venuto a compimento, successivamente, grazie alla rivoluzione industriale e allo sviluppo della forma economica capitalista, come anche alla diffusione del pensiero liberale e alle più importanti rivoluzioni politiche a cavallo tra 1600 e 1800.
Occorre perciò notare come lo stesso Stato Moderno e altresì le prime istituzioni politiche rappresentative siano stati, ab origine, espressione nitida della classe sociale, in rapida ascesa, responsabile di questi epifenomeni: la borghesia. Lo sviluppo del capitalismo industriale ha richiesto sin dall’inizio un insieme di norme e regolamenti ben definiti e nazionalmente uniformi, tale da poter tutelare e facilitare l’espansione dell’iniziativa economica privata e del libero mercato, finanche su scala globale.
Di qui la saldatura tra Stato, politica e capitale borghese, cerniera funzionale dello Stato Moderno come noi lo intendiamo effettivamente.
Oggetto specifico della mia riflessione critica sarà l’analisi contemporanea dei rapporti tra Stato, in particolar modo il binomio burocrazia-politica, e grande capitale, mettendo in luce il pericoloso allineamento tra i due a discapito della società civile e dell’economia reale, ossia il medio-piccolo capitale. Nel fare questa disamina mi avvalorerò del contributo analitico di autori come Max Weber e Ludwig Von Mises, provandone la veridicità e l’onestà teorica, oltre che la straordinaria attualità, provando a compararli.
QUANDO LA RIVOLUZIONE DIVORA I SUOI FIGLI:
Come già anticipato, la rivoluzione dello Stato Moderno, associata allo sviluppo capitalistico occidentale, alla graduale internazionalizzazione del commercio e alla diffusione delle idee liberali, si è infine compiuta attraverso le rivoluzioni politiche di fine XVIII secolo (Rivoluzione Americana, Rivoluzione Francese) e quelle, fallite e non, del XIX secolo.
Risultato storico conseguente ne è stato la genesi del costituzionalismo moderno di matrice liberale e la progressiva codificazione nazionale dei cosiddetti “diritti di libertà” nelle numerose costituzioni concesse o redatte in quel tempo. Nel processo di sviluppo impetuoso dell’economia capitalista, su scala nazionale e planetaria, lo Stato Nazionale e le aspirazioni politiche della borghesia trovano piena identificazione nonché maturazione.
La vita politica delle potenze occidentali si democratizza man mano, per via dell’aumento del benessere economico medio e della stessa vocazione democratica del capitalismo, e l’incubo del proletariato incombe sullo status quo notabilare, facendo vacillare tanto gli equilibri politici quanto la nozione stessa di Stato e di “Diritto”.
In questi anni un grande e noto sociologo, Max Weber, osserva clinicamente come la burocrazia da semplice “entità che reclama il monopolio sull’uso legittimo della forza fisica” sarebbe di lì a poco divenuta colonna portante stessa della politica democratica, laddove “la democrazia moderna… dove vi è una grande democrazia statale, si trasformerà in una democrazia burocratizzata”. Secondo la sua analisi oggettiva, la burocrazia si sarebbe inevitabilmente imposta ancora una volta come lo strumento, o meglio l’attore più adatto a poter governare le grandi trasformazioni economiche e i processi socio-politici derivanti (“l’economia diretta non può esser diretta diversamente”).

Prova eclatante, infine, ne è stata la Rivoluzione d’Ottobre nel 1918. E ancora una volta: “Questa realtà è la prima cosa con cui dovrà fare i conti anche il socialismo: la necessità di una lunga preparazione professionale, di una specializzazione sempre più perfezionata e di una direzione a opera di una burocrazia professionale formata con tali criteri”.
La storia, in tutta la sua interezza e chiarezza, avrebbe poi dato ragione al fine studioso tedesco: infatti, il mutamento del costituzionalismo europeo nei decenni tra la fine del primo e del secondo conflitto mondiale, a fasi alterne secondo la teoria dei “reflussi dei processi democratici” di Samuel Huntington, ha decretato la fine dello Stato liberale classico e la costruzione del moderno Welfare State, col logico passaggio dalle costituzioni dei “diritti di libertà” alle costituzioni dei “diritti sociali”.
Una nuova trasformazione epocale, favorita da un contesto diffuso di precarietà economica post-bellica e potenziale disintegrazione delle più o meno neonate liberaldemocrazie, nell’incertezza della povertà e dei conflitti sociale e politico imminenti. Ebbene, in questa nuova grande transizione, il sistema produttivo cambia ancora una volta pelle: a farla da padrona sono i grandi potentati privati (“Big Corporations”) e la pianificazione economica statale (un modello passato alla storia come esemplare, per citarne uno, è il “Beveridge Plan”), al fine di assorbire le sacche di povertà e stimolare/orientare nuovamente i consumi secondo schemi diversi, stavolta inediti.
Un grande economista e acuto osservatore dell’epoca, John Kenneth Galbraith, nel classico volume “The New Industrial State” (1972) descrive analiticamente la rivoluzione in atto: il classico meccanismo “domanda-offerta” viene soppiantato dalla pianificazione economica delle Big Corporations, i nuovi conglomerati economici, grazie all’ausilio delle tecnostrutture burocratiche, il cui fine principale è quello di conservare ed espandere il più questo potere organizzativo.
L’iniziativa privata e la libertà economica individuale, tanto del capitalista quanto del consumatore, vengono messi sull’altare sacrificale dinanzi sia alla Politica, sia allo Stato che del Grande Capitale. Sulla falsariga di queste riflessioni Ludwig Von Mises, economista e massimo esponente della Scuola Austriaca, afferma, anticipando buona parte delle precedenti intuizioni in un libro scritto addirittura nel 1944, “Bureaucracy”, come la stessa burocratizzazione della politica e dell’economia, già avviata in Europa e negli States soprattutto dopo il ’29 e facilitata dalla diffusione di idee socialiste, avrebbe di lì a poco attentato gravemente alla libertà individuale, tanto politica quanto economica.

Più precisamente Von Mises si espone chiaramente circa il pericolo di questo processo sottolineando come il burocrate, sottostando a delle logiche politiche e di governo spesso tribali e conflittuali, si distingue essenzialmente per la centralizzazione estrema del comando e la necessità di dover rispondere alla politica e ai partiti, di cui ne è appendice. Pertanto, in quanto decisore condizionato a priori, la sua caratteristica saliente è l’obbedienza: il sistema economico, in larga misura regolato dalla burocrazia, così non può che risultare inefficiente e inadeguato ai reali bisogni dei cittadini.
SPUNTI ODIERNI: COVID, LEVIATANO E CAPITALISMO POLITICO
Concludendo e cercando di fare qualche riflessione a margine, sparsa, sarebbe utile traslare queste riflessioni storico-economiche nell’alveo dell’epoca Covid-19, come si suol dire. Partendo dai suddetti presupposti, è innegabile come ci si stia ormai trovando di fronte ad una nuova rivoluzione dei modi di produzione, la cosiddetta 4.0 Industrial Revolution, che vede la digitalizzazione come key player delle immense trasformazioni cui stiamo assistendo.
La pandemia del Covid-19, sotto questo aspetto, non è stata altro che un facilitatore, o meglio un acceleratore di processi che invero erano già stati avviati. Le cosiddette ICT giocano un ruolo sempre più importante, assieme allo spazio digitale e alla cybersecurity, nei sistemi economici nazionali e internazionali e, a riprova di ciò, è possibile osservare come queste siano già considerate come parte delle cosiddette CI (Critical Infrastructures).
I potentati economici globali, le Big Corporations, al contrario della tradizionale piccola-media impresa, sembrano già giovare dalla grande trasformazione in atto, grazie anche alla complicità della politica e dei sistemi amministrativo-burocratici. A dire il vero la Politica, avendo già da tempo rinunciato alla propria vocazione di ente decisore e mediatore ed essendosi ormai trasformata in puro ente esecutore, invece, non risulta che essere ormai decisiva nella progressiva erosione delle libertà individuali ed economiche dei singoli.

La centralizzazione estrema del comando trova logica coerenza nella condizione perenne di Stato d’Emergenza e nella politica scellerata dei lockdowns. Assistiamo, pertanto, ad una lenta ma inesorabile cancellazione del tessuto produttivo tradizionale, un trend che travalica i confini nazionali e che ha origini non sospette, sin dall’avvento della globalizzazione. È un trapasso evidente verso una forma sempre più politica e statale di capitalismo, fatto di task forces ed economic relieves.
La burocrazia, infatti, detenendo il monopolio dell’iniziativa economica e non solo assurge a vero e proprio king maker dei processi decisionali, assolutamente privo di contrappesi democratici e sovrani, mostrandosi come nemico plateale delle istituzioni rappresentative e delle libertà.