Il Toro ha evitato la serie B, ma in tifosi non hanno certo avuto molto da festeggiare per l’ennesima stagione fallimentare della squadra. Serve una rifondazione e sognano che il padrone della società granata, Urbano Cairo, si faccia da parte e venda a qualcuno disposto ad investire per riportare il Toro al vertice. Pia illusione.

Perché Urbano Cairo è davvero il simbolo perfetto di un’ampia parte dell’imprenditoria italiana. Furbo, indubbiamente. Ma con il “braccino” così corto da rendere impossibile qualsiasi programmazione seria non solo sul lungo periodo, ma pure sul medio e spesso sul breve. Chi lo difende ha sempre sostenuto che non si potesse giudicare l’imprenditore dalla sua fallimentare esperienza alla presidenza del Toro. Bisognava considerare, invece, le sue attività editoriali ed il successo alla guida di Rcs e della tv La 7.
Perché Cairo, un taglio dopo l’altro, aveva risanato i conti del Corriere e del resto del gruppo, riportandolo ad un utile soddisfacente. Appunto, taglio dopo taglio. Senza la benché minima visione di crescita, di sviluppo. Non a caso gli utili aumentavano mentre il fatturato calava. Sino a quando, inevitabilmente, hanno cominciato a calare pure gli utili. Sino ad arrivare al rosso nel primo trimestre di quest’anno. Difficile fare qualità solo con i tagli. Difficile che il mercato apprezzi a lungo la mancanza di qualità.
Ed ora è arrivata la tegola di Blackstone. Con il fondo americano che ha vinto il primo round e chiede a Rcs un mega risarcimento che avrebbe conseguenze pesantissime per il gruppo che pubblica il quotidiano della borghesia italiana. Per il gruppo, non per Cairo che si è fatto approvare dal cda un provvedimento con cui sarà il gruppo a farsi carico anche degli eventuali danni richiesti da Blackstone direttamente ad Urbano.

Dunque “braccino” non avrebbe necessità di vendere il Toro per pagare il fondo americano. Mentre diventerebbe molto più incerto il futuro di Rcs e del Corriere. Si aprirebbe la strada verso la cessione, complessiva oppure procedendo con lo spezzatino. Già, ma chi si farebbe carico di un settore in profonda crisi? Il gruppo Gedi (Elkann/De Benedetti) controlla già buona parte delle principali testate italiane, da Repubblica a La Stampa, passando per numerosi giornali locali. Il Giornale di Berlusconi è in gravi difficoltà, Qn e Messaggero non hanno dimensioni tali da affrontare una simile sfida. La “buona borghesia progressista” milanese ha già fatto abbastanza danni proprio al Corriere.
E per vendere, anche solo qualche testata del gruppo, Cairo deve trovare qualcuno interessato a comprare. Non solo in Italia. Perché “Urbano il risanatore” ha problemi, gravi, anche in Spagna con Unidad Editorial (El Mundo, Marca, Expansion..). Senza dimenticare il flop della 7: i divi del politicamente corretto costano, e tanto, ma rendono molto poco in termini di ascolti e di pubblicità. A differenza del Corriere e di Rcs, la tv cairota non è mai stata in grado di produrre utili. Ed anche in questo caso i tagli al posto degli investimenti non si sono dimostrati una strategia vincente. Come nel caso del Toro.