Un calo dei consumi di ortofrutta dell’8% nel primo semestre di quest’anno, a fronte di una crescita della spesa dell’1%. E, per la sola frutta, i prezzi sono aumentati del 9% mentre i consumi sono diminuiti del 10%. La dieta mediterranea, tanto sbandierata nei convegni ufficiali, non funziona più poiché i sudditi italiani non possono più permettersela. Ma si può stare tranquilli: andrà sempre peggio. E, per una volta, non sono economisti catastrofisti ad ipotizzarlo, bensì i produttori ad annunciarlo con entusiasmo.
Nelle scorse settimane erano stati gli industriali oleari a festeggiare la scomparsa dell’olio a basso prezzo dagli scaffali dei supermercati. Finalmente, assicuravano, il consumatore pagherà di più. E poi si dedicavano ad una arrampicata sui vetri: il consumo di olio – spiegavano – è limitato e, dunque, l’aumento reale è di pochi centesimi ogni volta che si frigge o si condisce un’insalata. Salvo, poi, lamentarsi perché i ristoranti mettono, a volte, la bottiglia dell’olio sul tavolo senza farlo pagare. Ma se il costo è di pochi centesimi, cosa dovrebbero mettere nel conto?
Ora, comunque, è il turno della frutta. Con i produttori che non pensano a come ridurre costi di produzione e prezzi, bensì come far digerire al consumatore i prossimi aumenti dei prezzi finali. Perché sono già pronti ad imporli. Dunque bisognerà puntare sulla comunicazione e sulla promozione. Seguendo l’esempio della concorrenza internazionale. Giusto. Però, in Italia, la comunicazione e promozione paiono essere una prerogativa quasi esclusiva dei frutticoltori di Trentino e Sud Tirolo. Ogni tanto compare qualche altro marchio di poche regioni. Perché i produttori che sono felici per gli aumenti dei prezzi e ignorano il forte calo dei consumi, ignorano spesso che anche la comunicazione e la promozione hanno un costo. E che non basta inviare un comunicato stampa in cui si magnifica il profumo ed il sapore di una mela per ritrovarsi articoli su tutti i giornali.