Ne La Biblioteca di Babele J. L. Borges ipotizza, oltre all’Universo concepito come una biblioteca infinita, la possibile esistenza di un gran libro circolare di cui avrebbero esperienza soltanto i mistici nel corso delle loro estasi. “Questo libro ciclico è Dio”, afferma lo scrittore argentino, che inserisce questa affermazione in una enigmatica parentesi.
La tentazione di Roberto Calasso, morto il 28 luglio all’età di ottanta anni, forse era proprio questa. Quella di scrivere un libro totale che compendiasse tutti i libri passati e futuri. Un’impresa titanica che solo un folle avrebbe potuto concepire, ma che valeva comunque la pena di essere tentata. Il primo volume, La Rovina di Kasch, venne alla luce nel 1983; l’ultimo, e undicesimo, della serie, La Tavoletta dei Destini, lo scorso anno. Ma il libro, almeno per la parte di cui si è occupato Calasso, resterà incompiuto. La vita, infatti, è breve e finita, ma Il Libro è infinito e, come diceva Borghes, “La Biblioteca esiste Ab Aeterno” ed è “infinita, illimitata e periodica”.
Chi si sia avventurato tra le pagine di quest’opera monumentale, che consta ormai di migliaia di pagine, si sarà reso conto della difficoltà di lettura di un testo che solo in apparenza risulta disorganico. La fatica che si prova nel confrontarsi con quei testi deriva dal fatto che nessuno di noi lettori comuni è in grado di mettersi alla pari con l’enorme cultura dell’autore.
Una cultura che egli avrebbe potuto mettere a disposizione di una casa editrice già esistente. Ma visto che nessuna di quelle che operavano negli anni Sessanta (quando la sinistra dominava di fatto tutte le scelte editoriali) avrebbe mai accettato di dare alle stampe molti dei testi che il ventenne fiorentino riteneva indispensabili, egli, con un paio di amici, decise di creare Adelphi.
Il primo libro pubblicato fu “Il Racconto del Pellegrino” di Ignazio da Loyola, un autentico schiaffo alla cultura dominante. E da allora in poi le proposte controcorrente furono innumerevoli: dall’integrale delle opere di Nietzche con l’eccellente cura del grande Giorgio Colli, a Daumal, da Elias Canetti a Lernet-Holenia, da Borges a Sandor Márai, Da Cioran a Ceronetti, senza dimenticare i classici delle religioni. Ma l’elenco sarebbe lunghissimo e inutile.
Nel corso degli anni non mancarono i grandi successi editoriali, come la scoperta di Milan Kundera a partire dal fortunatissimo “L’insostenibile Leggerezza dell’Essere” che inaugurava la collana Fabula e che rimase in testa alle classifiche di vendita per mesi e mesi, a uno dei maggiori longseller dell’editoria italiana, vale a dire “Siddarta” di Hermann Hesse. Ma ai libri più o meno impegnativi si affiancavano opere più leggere ma mai banali: come dimenticare l’integrale delle opere di Simenon o il Fleming di 007?
Oggi non ci resta che commuoverci per la scomparsa di uno dei più grandi intellettuali italiani contemporanei e domandarci se ci sarà chi saprà continuare la sua straordinaria opera di editore.
1 commento
È molto bello questo omaggio e saluto a chi ha dato tanto,anche se mi permetto di commentare proprio io che lo conosco solo per fama e da poco tempo.
(Per lo meno a qualcosa mi è servita la tecnologia ed i social!).
In effetti sono uomini speciali, eccellenze, anime superiori.
Ma ciò che muove questo mio stupido commento, trattenuto per tutto il giorno,per pudore e correttezza, è ciò che è accaduto un anno fa, nel mese di aprile/maggio 2020, quando ancora mi passava spesso la pagina di Adelphi, sulla home di FB.Infatti, pubblicizzò per giorni l uscita di un libro legato alla narrazione pandemica, che fin dai primissimi momenti mi sembrò davvero troppo pilotata.Il libro pubblicato si intitolava Spillover, che con le proposte di Adelphi legava poco.Fu un delirio, ristampe e poi via con un secondo titolo dello stesso autore.
Per chi, come me, aveva faticosamente trovato,negli anni,piccoli punti di riferimento,l arrivo della “pandemia” ha determinato la crisi e la fine,lo strappo da qualche piccola,radice,riconosciuta come tale,a cui tenersi.
Anche quella fu una nota stonata, certamente marketing necessario per un maggior margine di guadagno, è vero,come la stessa presenza dello scrittore da Fazio.
Tuttavia,una nota stonata che risuonava forte, almeno per me, poiché mi parve anche come una presa di posizione.
Mentre,negli stessi giorni, Quodlibet pubblicava alcuni interventi di Agamben, ricevendo insulti da quasi tutti coloro che seguivano la pagina.
Mi piace ricordare un particolare che notai in un qualche programma di arte o altro, non so più, in cui si spiegò il logo di Adelphi,ossia il pittogramma cinese della luna nuova, che significa,in pratica, morte e rinascita, in una veste grafica disegnata da un noto illustratore e artista inglese,credo amico di Wilde, Aubrey Beardsley,di cui ricordo una versione di Ophelia.