Nello sport, come nella vita, le sconfitte sono una componente pressoché inevitabile. Ma non per questo definitiva. Si cade e ci si rialza. Al torneo del bar o ai mondiali. In qualsiasi disciplina. Si impara a non far drammi, si cresce, si migliora attraverso un maggiore impegno. E poi, magari, si perde di nuovo perché, semplicemente, l’avversario è più forte. A volte, però, si ha la sfortuna di diventare simboli di inutili campagne mediatiche ed una normale sconfitta si trasforma in un evento catastrofico di cui vergognarsi.
I media di regime italiani hanno deciso di trasformare il calcio femminile in un vessillo per tutta una serie di sciocchezze che con lo sport hanno nulla da spartire ma che sono legatissime alle idiozie del politicamente corretto. E lo stesso vale per Tamberi, il saltatore in alto dell’atletica leggera. Nello stesso giorno il campione di salto in alto arriva “solo” quarto ai mondiali mentre le ragazze del calcio vengono sbattute fuori dagli Europei dopo 3 partite per nulla esaltanti.
Capita. Tamberi aveva problemi ad una gamba, le calciatrici hanno trovato sulla loro strada chi era più forte di loro (Francia) o chi ha avuto più voglia di vincere. Comprensibile la delusione degli atleti che arrivano alle competizioni dopo la fatica di duri allenamenti o dopo altre partite. Ma decisamente ridicolo l’imbarazzo dei media. Che, avendo trasformato lo sport in un veicolo di propaganda politica e sociale, si ritrovano a commentare non un insuccesso sportivo ma una sconfitta umana, morale, esistenziale. Un dramma per i media, non per gli atleti che sanno sempre risollevarsi.
Non che lo sport sia sempre stato un’oasi lontana dalla politica. Gli epici scontri sul ring tra Benvenuti e Mazzinghi erano anche il simbolo di una lotta politica tra destra e sinistra. Erano note le posizioni politicamente scorrette di Nino Benvenuti, come del campione di motociclismo Giacomo Agostini, del calciatore Mauro Bellugi. O, sul fronte opposto, di Paolo Sollier e Cristiano Lucarelli. Ma i giornali e le tv di allora si limitavano – quando non potevano farne a meno – a fare del “colore”. Non montavano campagne mediatiche per cambiare il mondo grazie alla rovesciata di una calciatrice, ad un centimetro in più del saltatore, ad un centesimo in meno per un atleta del nuoto.
Non è fondamentale sapere cosa pensa dell’utero in affitto il campione di motociclismo quando scende dalla sua moto; non è necessario essere “illuminati” sulla transizione ecologica da un tennista che ha passato il turno; non è indispensabile conoscere i gusti sessuali di chi ha vinto una partita a freccette. Sarebbe ora che il pessimo giornalismo sportivo tornasse ad occuparsi di sport.