Tot i tsandze. Todo cambia. Tout change. Si può dirlo in qualunque lingua, ma il problema rimane lo stesso: perché da ieri ad oggi tutto dovrebbe essere cambiato? Perché abbiamo cambiato il calendario? Perché dal 2020 si è passati al 2021? Sì, ma in concreto?
I Dpcm sono sempre in vigore, il lìder minimo è sempre lì insieme ai dittatorelli dello Stato Libero di Bananas. Mattarella non si è spostato, monsu Bergoglio non si è dimesso nonostante le indiscrezioni sui social. E, per ora, non si è dimesso neppure Putin che sempre i social davano per gravemente malato. Il Toro è sempre ultimo in classifica e le code per un pasto offerto dalla carità privata si allungano.

Perché mai il 2021 dovrebbe essere meno peggio dell’anno che si è concluso? I vigliacchi che spiano dai balconi e che origliano per scoprire se qualcuno si ama nell’alloggio di fianco non sono spariti, i renitenti alla vanga proliferano, i fans del partito nemico degli italiani non sono stati spazzati via dal virus, l’oppofinzione continua a rivelarsi inutile.
Si spera in un vaccino di cui non si sa nulla, come si spererebbe in qualsiasi cosa in grado di deresponsabilizzare il popolo di pecore. Perché sarebbe troppo faticoso che ogni cambiamento dipendesse da noi, da ciascuno di noi. Non dai cialtroni che governano senza avere una sola idea. Ma è più facile illudersi che Azzolina sia in grado di fare qualcosa, che De Micheli abbia un briciolo di competenza, che Giggino conosca la geografia.
Qualunque assurdità, pur di evitare di farsi carico di una pur minima responsabilità per cambiare. Cambiare dentro, prima di imporre un cambiamento all’esterno. Ritrovare coraggio e dignità, ritrovare il gusto della libertà oltre la paura imposta facilmente dal terrorismo di Stato. Ritrovare se stessi per poter ritrovare gli altri e, insieme, cambiare tutto.
Se no, buon 2020. Perché il nuovo anno sarà uguale al precedente.