Più passano gli anni, più cominciò a capire, ed apprezzare Joseph De Maistre. In verità non mi era mai stato molto simpatico. Intendendo per “simpatico” ciò che il termine significa in senso etimologico. Ovvero qualcosa che ti risuona dentro per consonanza interiore. Ho sempre preferito il fratello minore, Xavier, cui spesso faccio riferimento. Sia per i romanzi, deliziosi nella loro, effimera, eleganza. Sia per la vita avventurosa di soldato. Che combattè contro i francesi e Napoleone, prima nell’esercito sabaudo, poi in quello asburgico. E infine addirittura in quello russo. Un irriducibile, dalla vita romantica (prima del romanticismo) e avventurosa. Che restò poi al servizio dello Zar, nel Caucaso contro i ribelli Ceceni. E più a Sud, contro i Turchi…
Ma lui, Joseph, non mi risuonava. Intelligente e acuto, certo. Ma troppo legato ai gesuiti, suoi maestri, con quell’idea del Papa come autorità suprema in politica. Troppo guelfo, in sostanza. E non privo di contraddizioni. Visto che era al contempo Massone, nonostante la scomunica della Chiesa. Anche se, a quanto mi risulta, era un Martinista. Quindi con una visione spirituale, esoterica, molto lontana dalla, contemporanea, Massoneria rivoluzionaria…
Comunque, questo non è lo studio sulla Libera Muratoria e le sue, molte, filiazioni. Cosa che non mi interessa, e per la quale, onestamente, non mi ritengo competente.
E non è neppure un articolo sul pensiero di De Maistre, sul Montanismo, sui controrivoluzionari.
Solo qualche divagazione sul perché, nel tempo, questo altero savoiardo mi è diventato sempre più… simpatico.
Per alcune sue frasi, sopratutto. Che cito a memoria, sicuramente in modo impreciso.
Come quando dice: Nessuna maggiore sventura per un popolo del vivere una rivoluzione.
Che non è mero e bieco conservatorismo. Bensì la, lucida, constatazione che le rivoluzioni, tutte, sono fatte per favorire gli interessi di pochi. E pagate, care, da molti. Orwell, molti anni dopo, lo comprese. E scrisse quel triste apologo esopico che è “La fattoria degli animali”.
Perché le rivoluzioni si fanno, certo, per cambiare il mondo. Ma credere che questo sia per il meglio, è la più grande illusione. Il più cinico inganno. Perché le rivoluzioni, i reset come vengono eufemisticamente chiamati oggi, vengono sempre fatti in nome del popolo, di una maggiore libertà, della giustizia. O della sua… Salute.
Ma poi rivelano il loro vero volto. Oppressione dei molti, sempre più bieca. Per gli interessi di pochi.
E, in fondo, si torna a Tacito. La storia inclina sempre verso il peggio… il progresso è solo una gigantesca mistificazione.
E sempre De Maistre, a questo proposito, fa un’altra affermazione che mi ha colpito. E mi si è incisa nella memoria. Noi non ci illudiamo di cambiare il mondo. Cerchiamo di cambiare noi stessi.
Aveva, anzi ha ragione. Chi si riempie la bocca con tante, troppe parole, che promette la rava e la fava – per dirla in gergo – la prosperità e la salute, la sicurezza, la felicità… mente per ottusità. O, peggio, sapendo di mentire. E mente anche a se stesso. Che è, Scritture alla mano, peccato contro lo Spirito di Verità. L’unico che non troverà mai misericordia…
L’uomo onesto e retto sa che gli unici sforzi non vani sono quelli per cambiare se stesso. Per non piegarsi alle mode, per non soggiacere alle paure. Per essere e restare uomo, in buona sostanza. E non una pecora matta.
Guardo un ritratto di Joseph De Maistre. La parrucca bianca. La croce sull’abito sobrio e, rigorosamente, scuro. Il naso adunco. E gli occhi… stretti, acuti…
Decisamente quel vecchio controrivoluzionario e codino mi sta diventando simpatico…